Le «pubblicazioni» prima delle nozze: in quali casi è possibile non farle?
Mio nipote (26 anni) è fidanzato da 8 anni. A un certo punto qualcosa si è incrinato nei rapporti suoi e della sua ragazza con la nostra famiglia, fino a una forte litigata tra lui e la sua mamma (mia sorella). Verso marzo mia sorella è venuta a sapere che a giugno si sarebbero sposati: andando dal parroco della sposa a chiedere informazioni ha saputo che il figlio ha avuto una dispensa per cui lei e tutti i parenti legati a lei non devono partecipare al matrimonio e non devono sapere luogo, data… quindi niente pubblicazioni. Non vi descrivo il dolore che ho provato. Mia sorella ha parlato con varie persone, ma nessuno ha potuto far nulla. È possibile che per il Diritto canonico chiunque possa chiedere una dispensa contro un singolo o un nucleo familiare? La Chiesa non dovrebbe unire, invitare a perdonare, difendere la famiglia?
Deve essere preliminarmente detto che le notizie che ci ha dato la lettrice sono scarse e comprensibilmente generiche dovendo tutelarsi nel suo diritto alla riservatezza. Non sappiamo se si tratti di matrimonio concordatario o celebrato con rito semplicemente canonico, come non sappiamo nulla, per esempio, sull’appartenenza religiosa della sposa e della sua famiglia o sull’eventuale esistenza di qualche impedimento dirimente, benché dispensabile. Soprattutto non possiamo neppure immaginare le motivazioni che sono all’origine dell’insanabile rottura dei rapporti tra lo sposo e la sua famiglia di origine. Ci sembra di intuire, però, da qualche indizio che emerge dal racconto, che non sia da escludere del tutto l’esistenza di una stessa causa che possa aver portato il giovane ad allontanarsi e la concomitante volontà di lasciare all’oscuro del suo matrimonio i propri parenti, ma non soltanto per evitare la loro sgradita presenza alla celebrazione delle nozze, forse anche per impedire loro di conoscere qualcosa di più su questo matrimonio.
Per correttezza è doveroso far notare che le notizie date dalla lettrice non consentono di risalire né alla Diocesi né alle persone cui fa riferimento.
A scanso di equivoci dobbiamo subito chiarire che questo caso non rientra nella così detta celebrazione segreta del matrimonio contemplata dai cann. 1130-1133, altrimenti il parroco non avrebbe mai potuto rivelare nulla alla mamma dello sposo, ma anche su questo punto le notizie per giungere a conclusioni certe sono quasi del tutto inesistenti.
Il matrimonio è un istituto giuridico che ha rilevanza pubblica sia per l’ordinamento civile che canonico. In questo senso si comprende il significato della notizia che deve essere data alla comunità prima della celebrazione attraverso le «pubblicazioni».
Le pubblicazioni sono un atto indispensabile per celebrare il matrimonio civile (Codice Civile, Art. 93), concordatario o di altri culti ammessi dallo Stato Italiano, perché rappresentano uno strumento attraverso il quale l’Ufficiale di Stato Civile e l’Autorità Religiosa possono ricevere notizia dell’eventuale presenza di impedimenti alla celebrazione delle nozze.
Le pubblicazioni devono rimanere affisse all’Albo della parrocchia per otto giorni consecutivi in modo da includere due domeniche. Nel caso del matrimonio concordatario (ossia del matrimonio canonico che produca anche effetti civili), le pubblicazioni devono essere affisse per otto giorni comprendenti due domeniche anche all’Albo pretorio dei comuni di residenza degli sposi e, se questa non dura da un anno, anche nel precedente comune di residenza.
Nell’ambito della giurisdizione ecclesiastica la responsabilità delle pubblicazione spetta al Parroco incaricato dell’istruttoria matrimoniale (Decreto generale, n. 13). L’estensione della dispensa dalle pubblicazioni può essere totale oppure limitata solo alla parrocchia di uno dei nubendi. L’unica autorità competente a concedere la dispensa dalle pubblicazione canoniche è l’Ordinario del luogo (Vescovo Diocesano, Vicario Generale) per una «giusta causa» (Decreto generale, n. 14).
L’individuazione della «giusta causa» si configura come un atto discrezionale dell’Ordinario del luogo. Le motivazioni per concedere la dispensa possono essere di vario genere. Per esempio, i nubendi convivono, ma in parrocchia la gente crede che siano sposati; sono anziani e intendono evitare dicerie ecc. In genere si tratta di motivazioni che giustificano la tutela della buona fama o una fondata e ragionevole esigenza di riservatezza nei confronti della comunità parrocchiale, non solo per il fatto stesso della celebrazione del matrimonio, ma anche per i dati personali contenuti nelle pubblicazioni.
Anche l’ordinamento civile all’art. 100 del Codice Civile, prevede la riduzione del termine e l’omissione delle pubblicazioni all’Albo pretorio, stabilite rispettivamente per «cause gravi» e per «cause gravissime», dal tribunale su istanza degli interessati, con decreto non impugnabile emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.
In conclusione: in punto di diritto, lo sposo in questione, essendo del tutto emancipato per il raggiungimento della maggiore età, ha potuto in modo libero e autonomo prendere decisioni sul suo matrimonio. È stato anche suo diritto presentare la domanda per ottenere l’omissione delle pubblicazioni canoniche e, forse, civili. Di fronte alle gravi motivazioni che lo sposo avrà senz’altro documentato, una risposta negativa da parte dell’Autorità religiosa e civile sarebbe stata un atto ingiusto e arbitrario.
Il matrimonio è un Istituto di diritto naturale e i limiti alla valida o lecita celebrazione possono essere posti solo dal legislatore competente, mentre il consenso è un atto personalissimo di chi si sposa, autonomo da qualsiasi altra volontà nella sua decisione affermativa o negativa. Inoltre, «esso non può essere supplito da nessuna potestà umana» (can. 1057 §1).
Le pubblicazioni sono uno strumento a tutela della valida celebrazione del matrimonio per conoscere l’eventuale esistenza di impedimenti. La decisione di concedere l’omissione delle pubblicazioni risponde a un’esigenza proporzionatamente grave, almeno quanto l’importanza di rendere notoria alla comunità religiosa e civile la notizia della prossima celebrazione del matrimonio. Pertanto, esse non vengono fatte od omesse per andare contro qualcuno, tanto meno per assecondare o rinfocolare i dissidi tra parenti.
In definitiva, in tutta questa vicenda non è dato di sapere quali siano i veri motivi di tanta avversione alla presenza dei parenti dello sposo alle nozze, ma non è difficile ipotizzare che questo non sia avvenuto solo per incomprensione all’interno della famiglia o per qualche attrito tra i genitori e il figlio, tra nuora e suocera. Se è impossibile dire quali siano state le vere ragioni addotte per chiedere l’omissione delle pubblicazioni, sarebbe, invece, ragionevole presumere che la «causa grave», per essere stata riconosciuta come tale e che ha giustificato la concessione della dispensa, non sia riconducibile a sentimenti di avversione di un figlio verso i suoi genitori, ma a circostanze di altra natura e soprattutto gravi.
Infine, la lettrice non può escludere o negare che l’Autorità ecclesiastica che ha concesso la dispensa dalle pubblicazioni non abbia esperito un tentativo di rasserenamento dell’animo, se solo di questo si sia trattato, in considerazione soprattutto del fatto che la celebrazione canonica del matrimonio tra battezzati è anche celebrazione di un sacramento. Ma proprio per questo la presunzione sempre più forte che si fa strada, soprattutto per chi come noi in questa sede non possiede elementi sufficienti e certi per giungere a conclusioni almeno probabili, è che si sia trattato di una «causa grave» da oltrepassare le facili congetture riconducibili al rapporto conflittuale del momento all’interno della famiglia.