Un presbitero può cambiare in parte, o completamente, la liturgia della Parola, rispetto a quanto indicato nel Lezionario? In particolare mi interessava sapere se le messe festive e le solennità, come il Natale o la Pasqua possano essere oggetto di cambiamenti anche drastici nelle letture proposte. Ho cercato autonomamente in alcuni documenti («Dies Domini», «Sacrosantum Concilium», «Redemptionis Sacramentum»), ma avrei piacere di leggere una risposta organica di un esperto.Lettera firmataRisponde padre Lamberto Crociani, docente di liturgiaL’interrogativo posto dal nostro lettore credo sia oggi di grandissima importanza. Ci si può, infatti, rendere facilmente conto che due sono gli atteggiamenti tipici di chi presiede la celebrazione liturgica: o uno spietato rubricismo, che si attiene con scrupolo alle norme, o un creativismo, spesso improvvisato, che nega ogni rispetto delle norme celebrative. Ambedue gli atteggiamenti recano grave danno alla celebrazione e alla comprensione del mistero che i riti devono favorire per una consapevole partecipazione dell’assemblea (Costituzione sulla Sacra Liturgia n. 48).La stessa Costituzione al n. 22 stabilisce tre importanti norme che non sono certo espressione di potere, ma volontà di servizio:1. Regolare la sacra liturgia compete unicamente all’autorità della Chiesa, la quale risiede nella Sede apostolica e, a norma del diritto, nel vescovo.2. In base ai poteri concessi dal diritto, regolare la liturgia spetta, entro limiti determinati, anche alle competenti assemblee episcopali territoriali di vario genere legittimamente costituite.3. Di conseguenza assolutamente nessun altro, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica.Proprio la consapevole partecipazione al mistero ha fatto sì che la riforma conciliare ponesse particolare accento sulla preparazione del lezionario tanto per la celebrazione eucaristica quanto per gli altri sacramenti, per le esequie e per altri momenti fondamentali della vita ecclesiale.«La celebrazione della Parola deve offrire quell’intelligenza della storia della salvezza e, in particolare, del mistero pasquale che lo stesso Gesù risorto procurò ai discepoli: è lui che parla, presente com’è nella sua parola quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura» (Dies Domini, 39). E ancora al n. 41 lo stesso documento ribadisce che «la proclamazione liturgica della Parola di Dio, soprattutto nel contesto dell’assemblea eucaristica, non è tanto un momento di meditazione e di catechesi, ma è il dialogo di Dio col suo popolo, dialogo in cui vengono proclamate le meraviglie della salvezza e continuamente riproposte le esigenze dell’Alleanza. Da parte sua, il Popolo di Dio si sente chiamato a rispondere a questo dialogo di amore ringraziando e lodando, ma al tempo stesso verificando la propria fedeltà nello sforzo di una continua conversione».Inoltre dobbiamo considerare anche come la Costituzione liturgica al n.102 prospetta la comprensione dell’anno liturgico: ogni domenica la Chiesa fa memoria della risurrezione del Signore, che celebra anche in maniera solenne nella Pasqua. «Nel corso dell’anno poi, distribuisce tutto il mistero di Cristo dall’Incarnazione e dalla Natività fino all’Ascensione, al giorno di Pentecoste e all’attesa della beata speranza e del ritorno del Signore». Ora questo percorso, che mette a fuoco l’opera della salvezza, può essere fatto solo ed esclusivamente grazie alla Parola, che occupa la posizione centrale nella celebrazione. Dobbiamo infatti tenere presente che la liturgia non si fa con le preghiere e i prefazi, ma con la Parola di Dio, che ispira le stesse orazioni e prefazi.Allora il nuovo ordinamento delle letture ha recuperato finalmente i libri della prima Alleanza e li ha voluti come parte fondamentale nella celebrazione della Parola. La Costituzione sulla Parola di Dio a questo proposito ricorda al n. 14 «L’economia della salvezza preannunziata, narrata e spiegata dai sacri autori, si trova in qualità di vera parola di Dio nei libri del Vecchio Testamento; perciò questi libri divinamente ispirati conservano valore perenne: “Quanto fu scritto, lo è stato per nostro ammaestramento, affinché mediante quella pazienza e quel conforto che vengono dalle Scritture possiamo ottenere la speranza”(Rm 15,4)».Il Profeta, come possiamo chiamare la lettura veterotestamentaria, è annuncio di quanto Cristo porta a compimento, contenuto nell’Evangelo. L’Apostolo (testi del Nuovo Testamento) mostra come la Chiesa è chiamata a vivere la parola evangelica nell’oggi. Si ha così un’unità perfetta della Parola del Signore. Ora consapevoli della difficoltà ancora attuali di accettazione dell’Antico Testamento, i Padri conciliari al n. 16 della Costituzione sulla Parola di Dio hanno con forza affermato che «Dio dunque, il quale ha ispirato i libri dell’uno e dell’altro Testamento e ne è l’autore, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio fosse svelato nel Nuovo».Questi principi generali ho voluto ricordare per giungere a un testo fondamentale che in questo 2019 ha avuto una revisione e ampliamento: mi riferisco all’Ordinamento delle letture della Messa dove più radicale si fa la posizione del Magistero a proposito della Parola celebrata, che deve aiutare per la comprensione sempre più profonda del mistero di Cristo nei diversi momenti dell’anno liturgico. Così al n. 3 si legge: «I molteplici tesori dell’unica parola di Dio si manifestano mirabilmente nelle varie celebrazioni, come anche nelle diverse assemblee di fedeli che a esse partecipano, sia quando si rievoca nel suo ciclo annuale il mistero di Cristo, sia quando si celebrano i sacramenti e i sacramentali della Chiesa, sia quando i singoli fedeli rispondono all’intima azione dello Spirito Santo. Allora infatti la stessa celebrazione liturgica, che poggia fondamentalmente sulla parola di Dio e da essa prende forza, diventa un nuovo evento e arricchisce la parola stessa di una nuova efficace interpretazione. Così la Chiesa segue fedelmente nella liturgia quel modo di leggere e di interpretare le sacre Scritture, a cui ricorse Cristo stesso, che a partire dall’”oggi” del suo evento esorta a scrutare tutte le Scritture». Per questo, e concludo, lo stesso testo al n. 12 stabilisce con forza: «Nella celebrazione della Messa le letture bibliche, con i canti desunti dalla sacra Scrittura, non si possono né tralasciare, né ridurre, né – il che sarebbe cosa più grave – sostituire con letture non bibliche. Con la sua parola trasmessa per iscritto, “Dio parla ancora al suo popolo”, e con l’assiduo ricorso alla sacra Scrittura, il popolo di Dio, con la luce della fede reso docile all’azione dello Spirito Santo, potrà dare, con la sua vita, testimonianza a Cristo dinanzi al mondo». Ora proprio per questo sarebbe necessaria una più attenta conoscenza di questo documento da parte di coloro che devono presiedere le celebrazioni.