Le bambine possono fare i ministranti?
Sono un vostro lettore e abbonato, ogni settimana non manco di leggere il vostro settimanale, in particolar modo l’informazione religiosa, «Risponde il teologo» e altri interessanti articoli. Tra le varie questioni che rigardano la partecipazione dei fedeli alla Messa, vi sarei grato se potete chiarire se i chierichetti possono essere anche bambine oppure no.
Lettera firmata
L’attuale Codice di Diritto Canonico, emanato nel 1983, prevede al canone 230 che i fedeli laici possano svolgere funzioni liturgiche, sia pure per incarico temporaneo e a norma del diritto vigente. La disposizione del canone non dice altro e ha dato il via a dubbi e interpretazioni diverse. Di fronte ad alcune interrogazioni poste, nel 1992 la Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti ha pubblicato un’interpretazione autorevole e autentica del suddetto canone: il servizio all’altare deve essere considerato tra le funzioni liturgiche aperte ai laici di entrambi i sessi, secondo le eventuali istruzioni date in merito dalla sede apostolica. Da una parte si riconosce che la volontà del legislatore è quella di offrire la possibilità ai laici di entrambi i sessi del servizio liturgico, dall’altra che la sede apostolica mantiene la prerogativa di precisare eventuali competenze o questioni che potrebbero sorgere. Papa Giovanni Paolo II ha confermato tale decisione nello stesso anno. Due anni dopo, il 15 marzo del 1994, una seconda precisazione della stessa Congregazione rimarcava il carattere di possibilità (e non di obbligo) offerto dal Codice, insieme alla libertà che in questa materia deve essere rilasciata alle decisioni dei singoli vescovi diocesani, responsabili in prima persona della vita liturgica del popolo di Dio loro affidato. Inoltre, nello stesso documento veniva ricordato il valore dei gruppi di ragazzi ministranti come terreno fecondo per la nascita di vocazioni sacerdotali.
Dai documenti traspare una certa ambivalenza. Tuttavia, l’apertura a bambine e ragazze per il servizio all’altare si è di fatto diffusa. Lo stesso Giovanni Paolo II si è lasciato servire da bambine durante le sue visite pastorali, non solo all’estero ma anche nella sua diocesi. Il 5 novembre 1995, per la prima volta in una parrocchia della diocesi di Roma, quella dei «santi Mario e famiglia martiri», il papa venne aiutato nella celebrazione della Messa da un gruppo di ministranti, formato da ragazzi e ragazze. Un comunicato seguente della Santa Sede dichiarò normale il fatto, perché previsto da documenti della stessa Santa Sede, aggiungendo la precisazione che «questo non significa che la Chiesa voglia rivedere il suo no al sacerdozio femminile».
Il punto delicato della questione è il rapporto fra il servizio dei ministranti all’altare e la visione del ministero ordinato. Le indicazioni del Magistero sono chiare. Il servizio liturgico è una possibilità che i fedeli laici hanno in virtù del battesimo ricevuto, che li inserisce nella Chiesa, popolo sacerdotale di Dio. La partecipazione dei fedeli all’unico sacerdozio di Cristo si esprime nei modi più svariati, dall’offerta esistenziale della propria vita all’esercizio dei propri compiti nella società e nella Chiesa, ed include una reale partecipazione attiva alle celebrazioni liturgiche, anche svolgendo compiti precisi. La questione del ministero ordinato, specifica partecipazione al sacerdozio di Cristo, non viene toccata dalla partecipazione dei fedeli laici ai servizi liturgici, perché si tratta di due partecipazioni diverse all’unico sacerdozio di Cristo: «Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo» (Lumen gentium).
Vi sono stati due interventi più recenti della medesima Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti sul nostro tema. Nel 2001 ha ripetuto come, secondo una corretta interpretazione del medesimo canone 230, la disciplina per il servizio all’altare debba essere regolata dal vescovo diocesano, che liberamente può intervenire in materia; che il Codice prevede la possibilità e non il diritto di servire all’altare; che in ogni caso è sempre opportuno il servizio all’altare da parte di ragazzi e giovani, perché da sempre questo gruppo è stato origine di vocazioni sacerdotali. L’ultima indicazione la troviamo nell’istruzione Redemptionis Sacramentum (25 marzo 2004), su norme da osservare per la celebrazione dell’Eucaristia. Al n° 47 leggiamo: «È veramente ammirevole che persista la nota consuetudine che siano presenti dei fanciulli o dei giovani, chiamati di solito “ministranti”, che prestino servizio all’altare alla maniera dell’accolito, e abbiano ricevuto, secondo le loro capacità, una opportuna catechesi riguardo al loro compito. Non si deve dimenticare che dal novero di questi fanciulli è scaturito nel corso dei secoli un cospicuo numero di ministri sacri. Si istituiscano o promuovano per essi delle associazioni, anche con la partecipazione e l’aiuto dei genitori, con le quali si provveda più efficacemente alla cura pastorale dei ministranti. Quando tali associazioni assumono carattere internazionale, spetta alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti erigerle o esaminare e approvare i loro statuti. A tale servizio dell’altare si possono ammettere fanciulle o donne a giudizio del Vescovo diocesano e nel rispetto delle norme stabilite».
In sintesi, bambine o ragazze possono partecipare al servizio liturgico dell’altare e spetta al vescovo diocesano dare indicazioni in merito per la propria diocesi. Si sottolinea sempre il valore di questo servizio per favorire la crescita di vocazioni al ministero ordinato. Mi sembra opportuno, alla fine, sottolineare il senso di iniziazione che questi compiti liturgici rivestono. La liturgia, vissuta seriamente fin da piccoli, introduce a vivere una profonda intimità col mistero di Dio. Accanto a questa opportunità, l’iniziazione alla vita cristiana, che ogni comunità ecclesiale è chiamata ad offrire, chiede altri momenti pedagogici altrettanto necessari, soprattutto l’educazione all’ascolto della Parola di Dio e alla preghiera personale, al servizio nella carità e alla partecipazione alla vita ecclesiale.