La visita ai «sepolcri» il Giovedì santo
Quando ero bambino, mia mamma mi portava, la sera del giovedì santo e la mattina del venerdì, a visitare «i sepolcri». Si andava in diverse chiese, fermandosi a pregare davanti ai tabernacoli ornati di fiori. Pensavo, quest’anno, di riproporre questa usanza ai miei figli: volevo chiedere però qual è il suo vero significato visto che parlare di sepolcri, per il Giovedì Santo, credo sia improprio visto che la memoria della morte di Gesù sarà il giorno dopo.
Enzo Gianniti
La diffusione di questa pratica, tuttavia, non dovrebbe oscurare il valore primario dell’azione liturgica, «con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati» e nella quale «Cristo associa a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale prega il suo Signore e per mezzo di lui rende culto all’eterno Padre» (cf Sacrosanctum Concilium, 7). Al centro della vita di fede cristiana sta la Pasqua del Signore, il suo passaggio da questo mondo al Padre, della quale facciamo memoria nell’eucaristia domenicale: è la pasqua settimanale, celebrata dalla Chiesa fin dalla sua nascita. Fin dai primi secoli, poi, è posto al centro dell’anno liturgico il «triduo pasquale», attraverso cui è scandita la memoria storica della Passione, Morte e Risurrezione del Signore Gesù: è la Pasqua annuale. Di per sé i giorni del triduo sono venerdì santo, sabato santo e la domenica di Pasqua. Il computo avviene secondo l’uso antico, quando il giorno iniziava al tramonto, al brillare delle prime stelle della sera. Pertanto la messa «nella Cena del Signore», che si celebra la sera del giovedì santo, liturgicamente guarda già al giorno seguente: è l’azione liturgica che dà inizio al triduo pasquale.
Alle celebrazioni liturgiche pasquali sono stati aggiunti riti popolari. Fra questi quanto indicato dal lettore, nato, probabilmente, dall’intreccio di devozioni diverse: il pellegrinaggio alle sette chiese e la venerazione verso il sacramento eucaristico, conservato per i giorni di venerdì e sabato santo. Il pellegrinaggio alle sette chiese nella sua forma originaria è dovuto a san Filippo Neri: le chiese toccate erano le grandi basiliche romane (san Pietro, san Paolo fuori le mura, san Giovanni in Laterano, san Lorenzo, santa Maria Maggiore, santa Croce in Gerusalemme e san Sebastiano). Col tempo acquistò un tenore molto penitenziale, spostandosi alla fine della Quaresima e facendo memoria delle tappe di Gesù nel percorso della sua passione. Al medio evo, invece, risale la cosiddetta visita a quello che impropriamente viene chiamato «sepolcro». Al termine della messa nella Cena del Signore si ripone il ss. Sacramento in un altare allestito per la sua venerazione. Testi liturgici antichi dicono che «posto il corpo di Cristo tra due patene, sia portato con ceri e incenso in forma molto onorifica e sia posto in un luogo a ciò preparato», fra lumi e fiori. Il processo storico che ha portato all’idea di sepolcro non è stato ancora chiarito.
Certamente vi hanno avuto influsso la devozione all’umanità sofferente di Cristo e il richiamo al santo Sepolcro di Gerusalemme. Il termine «sepolcro» non appartiene ai testi liturgici, ma si diffonde nel linguaggio popolare, tanto da far parlare di «altari che sono chiamati dal popolo sepolcri». Si diffondono via via elementi che rinviano alla sepoltura e al sepolcro di Gesù, insieme a interventi della Congregazione dei riti che cercano di limitarne l’uso, perché l’altare deve ricordare l’istituzione del sacramento e non la sepoltura di Gesù. Dopo il concilio di Trento il contenitore ligneo del ss. Sacramento assume la forma di un’urna trapezoidale con uno sportello abbastanza ampio da permettere la collocazione della pisside: nel coperchio si dipingevano simboli eucaristici o della passione, talora l’immagine del volto sofferente di Cristo. In un’epoca non precisabile le due forme di culto popolare si sono intrecciate, diventando la tradizionale «visita ai sepolcri», da compiersi simbolicamente secondo il numero di sette visite. Intorno a questo uso si sono aggregate manifestazioni di pietà popolare, dove la fede della grande Tradizione (la devozione al sacramento dell’Eucaristia) si intreccia con credenze umane (come il valore dato al numero delle chiese visitate).
Per concludere con uno sguardo alle prossime feste pasquali, le indicazioni della Chiesa sono chiare, come sono state ripetute nel 1988 dalla Congregazione per il Culto divino nel suo documento per la Preparazione e celebrazione delle feste pasquali. In merito al nostro tema si stabilisce che «il tabernacolo o custodia non deve avere la forma di un sepolcro. Si eviti il termine stesso di «sepolcro»: infatti la cappella della reposizione viene allestita non per rappresentare «la sepoltura del Signore», ma per custodire il pane eucaristico per la comunione, che verrà distribuita il venerdì nella passione del Signore». La custodia è un invito a quell’adorazione singolare che segue la celebrazione della messa nella Cena del Signore: nel ricordo di quando Gesù ha consegnato l’Eucaristia alla sua Chiesa, l’altare della reposizione deve essere preparato e addobbato in modo conveniente per l’adorazione pubblica fino alla mezzanotte. Dopo la mezzanotte l’adorazione sia senza solennnità, perché la Chiesa ricorda il giorno della passione del Signore, di cui farà memoria liturgica nel pomeriggio (cf Preparazione e celebrazione delle feste pasquali, 55ss).
L’invito ai lettori non può essere che quello di partecipare il più possibile alle celebrazioni liturgiche del triduo, tenendo presente anche i momenti in cui la comunità si raduna per la celebrazione della liturgia delle ore. Questa è la preghiera della Chiesa alla quale come battezzati siamo invitati a partecipare prima di ogni altro rito. Alla luce di questa priorità, la visita alle chiese, dove è riposto il ss. Sacramento, può essere un’occasione molto opportuna per riflettere nel silenzio della preghiera personale sul mistero della passione, morte e risurrezione del Signore Gesù.