Nel Vangelo di Matteo troviamo la parabola dei talenti che è facile da capire ma difficile da mettere in pratica perché spesso corriamo il rischio di sotterrare il talento ricevuto, come fece il servo pigro per paura del giudizio del suo padrone. Ecco la mia domanda: come possiamo vincere questa paura che ci blocca così da far fruttare i talenti ricevuti, a prescindere da quanti ne riceviamo? Marco GiraldiRisponde don Diego Pancaldo, docente di Teologia spiritualeChi vive nell’amore di Dio non ha paura. Anzi, l’amore di Dio è veramente perfetto in noi. Chi ha paura si aspetta un castigo, e non vive nell’amore in maniera perfetta» scrive Giovanni nella sua prima Lettera. Questa può essere la chiave interpretativa per rispondere alla domanda del lettore. È l’amore che ci libera dalla paura e ci apre alla gioia, alla gratitudine, al magis, al sempre di più nel dono di sé disinteressato. Ignazio di Loyola descrive questa dinamica con particolare acutezza nella contemplatio ad amorem che propone negli Esercizi spirituali. Invita infatti a considerare la sovrabbondanza di amore che Dio ci manifesta donandoci se stesso, la sua grazia e regalandosi a noi stessi: «chiedere conoscenza interna di tanto bene ricevuto, perché riconoscendolo interamente io possa in tutto amare e servire sua divina maestà». Invita anche a «richiamare alla memoria i benefici ricevuti nella creazione e nella redenzione e i doni particolari, ponderando con molto affetto quanto ha fatto Dio nostro Signore per me, e quanto mi ha dato di quello che ha; quindi di conseguenza il medesimo Signore desidera darsi a me, in quanto può, secondo il suo disegno divino».Solo custodendo questa viva, amorosa memoria del dono dall’alto che genera il nostro essere e la nostra salvezza, possiamo crescere nella nostra capacità di dono, facendo fruttificare i nostri talenti, vivendo eucaristicamente nell’offerta di noi stessi al Signore, partecipando alla sua modalità di essere, al suo «gioco», al suo donarsi amando, come afferma Klaus Hemmerle. Senza trattenere noi stessi, senza ripiegarci sul nostro piccolo io, perché «chi vorrà salvare la propria vita la perderà, chi perderà la propria vita per causa mia la troverà». Senza considerare Dio come il concorrente della nostra libertà. Solo così la nostra vita si compie, solo così diventiamo noi stessi. Per questo Ignazio invita a considerare «con molta ragione e giustizia quello che io devo da parte mia offrire e dare a sua divina maestà, cioè tutte le mie cose e me stesso con esse, come uno che offre con molto affetto». L’amore di Dio che sempre ci precede, ci primerea , come dice il Papa, ci spinge a rispondere all’amore con l’amore. Entrando in questo dinamismo dell’amore grato e disinteressato possiamo diventare i collaboratori di un Dio che «fatica e opera» nella storia per noi, servitori e strumenti della sua salvezza.Possiamo fare nostra la preghiera di Ignazio nella contemplatio ad amorem: «Prendi, Signore, e ricevi / tutta la mia libertà, / la mia memoria, / la mia intelligenza / e tutta la mia volontà. / tutto ciò che ho e possiedo, / tu me lo hai dato, / a te, Signore, lo ridono; / tutto è tuo, / di tutto disponi secondo la tua volontà;/ dammi il tuo amore e la tua grazia;/ questo mi basta».Questo ci libera anche dalla paura.