La moglie abbandonata può fare la comunione?
Il mio quesito è il seguente: se una moglie viene abbandonata dal marito e quest’ultimo si unisce ad altra donna abbiamo il caso chiarissimo di una moglie che ha subìto un torto, un tradimento ecc. Ora, questa moglie abbandonata potrà fare la Comunione, qualora le capiti di trovare un buon compagno di vita che si occupi di lei, magari santamente disposto a fare anche da padre ai figli della donna a loro volta abbandonati dal padre naturale?
Luigi Torsoli
Risponde padre Francesco Romano, docente di Diritto Canonico
Alla domanda che il lettore ci rivolge abbiamo in parte già risposto nella rubrica dell’11 febbraio scorso («Chi sposa un divorziato può fare la comunione?») a proposito delle situazioni matrimoniali irregolari e la ricezione della Comunione. Possiamo ora limitarci ad aggiungere solo alcune considerazioni.
Anche il naufragio di un matrimonio deve essere vissuto nella fede come il momento stesso in cui si celebra questo sacramento, connotato dal requisito della perpetuità del vincolo «nella buona e nella cattiva sorte».
Il fallimento della vita coniugale, finché non sia dimostrata e dichiarata dalla competente autorità l’eventuale nullità del matrimonio, non libera i coniugi, indipendentemente dalla responsabilità dell’uno o dell’altra, dall’obbligo del reciproco rispetto e della fedeltà, né, tanto meno, li abilita a instaurare nuove relazioni affettive come le unioni libere di fatto o il matrimonio civile.
Comprendiamo benissimo la dolorosa situazione esistenziale di una «moglie abbandonata», con figli da crescere ed educare. Tuttavia, l’eventuale «buon compagno di vita» ipotizzato dal nostro lettore, non può subentrare al posto del legittimo coniuge, pur latitante nelle sue responsabilità.
Per completezza, a quanto detto vi è da aggiungere che l’enciclica Familiaris consortio, promulgata da Giovanni Paolo II il 22 novembre 1981, non ignora la situazione di «coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli». In questo specifico caso, per poter ricevere la Comunione, la soluzione che il Papa prospetta è chiara e senza equivoci, ovvero, «quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, assumano l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi». Questo impegno è il presupposto per poter premettere il sacramento della penitenza alla ricezione della Comunione la quale, aggiunge il Papa nella sua enciclica, «può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti a una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio».
Le vicissitudini coniugali di tante persone che hanno visto naufragare il loro matrimonio possono essere simili, ma mai omologabili. Fatti salvi i principi teologici, non è possibile ridurre a un cliché la risposta da dare per tutte le situazioni. Suggeriamo, a quanti sentono il desiderio di ricevere l’Eucaristia e ne soffrono per la privazione, di non affrontare il problema come se si trattasse di risolvere una questione burocratica e di non cercare da soli una soluzione. Si chieda consiglio e illuminazione a un confessore o a un direttore spirituale lasciandosi aiutare a comprendere la verità che la Chiesa insegna e, magari, a iniziare a muovere per quanto è possibile i primi passi di un nuovo percorso. Mai, comunque, scoraggiarsi o allontanarsi dalla Chiesa rinunciando anche ad altre esperienze salvifiche della vita cristiana. Proprio per questo è necessario abbandonare il «fai da te» e affidarsi a un direttore spirituale.