La confessione: in quali casi il sacerdote può negare l’assoluzione
È possibile che un prete rifiuti di dare l’assoluzione durante la confessione? Per quali motivi?(Lettera firmata)
Risponde padre Francesco Romano, docente di Diritto canonico
L’esortazione apostolica post sinodale «Reconciliatio et paenitentia» di Giovanni Paolo II riafferma una delle convinzioni fondamentali di fede riguardo al sacramento della penitenza: «Il sacramento della penitenza è, secondo la più antica tradizionale concezione, una specie di azione giudiziaria; ma questa si svolge presso un tribunale di misericordia, più che di stretta e rigorosa giustizia, il quale non è paragonabile che per analogia ai tribunali umani». Il Codice di Diritto canonico così si esprime: «Ricordi il sacerdote che nell’ascoltare le confessioni svolge un compito a un tempo di giudice e di medico, ricordi inoltre di essere stato costituito da Dio ministro contemporaneamente della divina giustizia e misericordia, così da provvedere all’onore divino e alla salvezza delle anime» (can. 978 §1).Oltre al carattere giudiziale, seppure visto per via di analogia, la Chiesa individua nel sacramento della penitenza un carattere medicinale. È un tribunale di misericordia e luogo di guarigione spirituale in cui il penitente riceve la salvezza dell’anima. Attraverso la formula sacramentale, con l’imposizione della mano e il segno di croce, mediante il ministero della Chiesa il peccatore pentito e convertito entra in contatto con la misericordia di Dio.Il Concilio di Trento presenta il sacramento della penitenza con una struttura giudiziale (Sess. XIV, 25 nov. 1551, can. 9) e richiede dal penitente tre atti essenziali necessari per la validità del sacramento: il dolore, l’accusa, la soddisfazione.Il dolore del peccato o attrizione è il rincrescimento sincero, ma ancora imperfetto dovuto più al timore che all’amore per aver offeso Dio e per aver recato danno ai fratelli. Esso si accompagna al proposito di voler restare fedele al Signore per la vita e per la morte (cf CEI, Evangelizzazione e sacramenti della penitenza e dell’unzione degli infermi, n. 56). «All’interno del Sacramento, sotto la grazia che riceve, il penitente da ‘attrito’ diventa ‘contrito’ in modo che la Penitenza realmente opera in colui che è ben disposto alla conversione nell’amore» (Reconciliatio et paenitentia, 31, n. 31; Concilio di Trento, Sess. XIV, cap. 4).L’accusa dei peccati al legittimo ministro è un atto del penitente che deve essere conosciuta dal ministro del sacramento che svolge la funzione di giudice e di medico, ma ha anche il valore di segno: «segno dell’incontro del peccatore con la mediazione ecclesiale nella persona del ministro; segno del suo scoprirsi al cospetto di Dio e della Chiesa come peccatore, del suo chiarirsi a se stesso sotto lo sguardo di Dio» (Reconciliatio et paenitentia, 31, III).Giovanni Paolo II scrive: «Accusare i propri peccati è anzitutto richiesto dalla necessità che il peccatore sia conosciuto da colui che nel sacramento esercita il ruolo di giudice, il quale deve valutare sia la gravità dei peccati, sia il pentimento del penitente e insieme il ruolo di medico il quale deve conoscere lo stato dell’infermo per curarlo e guarirlo» (Reconciliatio et paenitentia, n. 31, III, 5).Il dolore dei peccati commessi quanto più diventa «contrizione», tanto più si traduce in rifiuto del peccato e proposito di non tornare a commetterlo. Segno del pentimento è anche la buona disposizione alla riparazione. Questo è lo scopo della soddisfazione chiamata anche penitenza in quanto, una volta accettata dal penitente, forma parte sostanziale del sacramento, anche se l’esecuzione effettiva degli impegni accettati, come sempre avviene, si collochi fuori dall’ambito sacramentale. Non costituisce il prezzo che si deve pagare per il perdono ricevuto, ma come ricorda Giovanni Paolo II, «è il segno dell’impegno personale che il cristiano ha assunto con Dio nel sacramento di cominciare un’esistenza nuova» (Reconciliatio et paenitentia, 31, III).L’assoluzione che il sacerdote, ministro del perdono concede al penitente, «è il momento nel quale, in risposta al penitente, la Trinità si fa presente per cancellare il suo peccato e restituirgli l’innocenza» (Reconciliatio et paenitentia, 31, III).Il confessore «in persona Christi» impartisce l’assoluzione con un duplice effetto: il perdono dei peccati commessi dopo il battesimo; la riconciliazione con Dio recuperando la sua amicizia e la sua grazia con la Chiesa per ritornare nella piena comunione con essa, con i fratelli e anche con se stesso riacquistando la pace e la libertà interiore.Il sacramento della penitenza è tribunale di misericordia e luogo di guarigione. Il confessore come medico deve conoscere lo stato del malato, conoscere le cause della malattia morale e indicare le cure. Il confessore non agisce come giudice e medico a titolo privato, ma come ministro della Chiesa «attenendosi fedelmente alla dottrina del Magistero e alle norme dettate dalla competente autorità» (can. 978 §2).La confessione non comporta di per sé il diritto di ricevere l’assoluzione, ma spetta al confessore il discernimento sull’effettivo stato di pentimento, sul ripudio del peccato commesso e sul sincero proposito di non tornare a commetterlo. Per questo recita il can. 980: «Se il confessore non ha dubbi sulle buone disposizioni del penitente e questi chiede l’assoluzione non sia negata né differita».Vi sono poi situazioni in cui si richiede che l’assoluzione sia preceduta dalla riparazione del danno ingiustamente procurato. Per esempio, il can. 982 presenta il caso di chi ha falsamente denunziato all’autorità ecclesiastica un confessore innocente per il delitto di sollecitazione al peccato contro il sesto precetto del Decalogo. Il penitente non sia assolto se non abbia prima ritrattato formalmente la falsa denuncia e non sia disposto a riparare i danni che ne fossero derivati.L’atto fondamentale del penitente per ottenere il perdono dei peccati è la sincera conversione a Dio che si concreta nel ripudio dei peccati commessi e nel proposito di emendarsi insieme alla volontà di riparare e di espiare.Il dovere di assolvere attiene al diritto del penitente ben disposto a ricevere dal ministro che rappresenta la Chiesa il dono del perdono a essa affidato. Oltre al dovere di assolvere vi è anche quello di non assolvere o differire l’assoluzione quando sussistono seri dubbi. Si tratta di due doveri di giustizia fondati nella natura del potere delle chiavi conferito da Dio a suoi ministri di legare, di sciogliere e dispensare la misericordia divina quando il penitente non pone ostacoli a essa.