Risponde Francesco Carensi, docente di Sacra ScritturaAl tempo delle nostre nonne, le donne dopo aver partorito dovevano, si diceva «tornare in santo», altrimenti non potevano entrare in Chiesa. Dovevano andare dal sacerdote per una particolare benedizione.Per comprendere quest’usanza dobbiamo riferirci al libro del Levitico, 12,2 nel quale si legge: «Parla agli Israeliti dicendo: “Se una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà impura per sette giorni”». Ci domandiamo: per quale motivo il parto rende la donna temea, termine tradotto in italiano con “impura” ma che si riferisce più a una situazione che impedisce o esonera dal contatto diretto con ciò che è sacro? E se continuiamo a leggere il testo vediamo che il periodo di impurità ha una durata doppia nel caso in cui il neonato sia una femmina.Oggi leggere certe cose ci scandalizza. Ma non possiamo leggere i testi della bibbia che contengono prescrizioni così lontane dalla nostra mentalità moderna, se non cerchiamo di capire il messaggio che è sottinteso.Siamo all’interno del vasto mondo delle leggi di purità rituale. Uno dei principi che sono alla base di queste è che Dio è vita, è Signore della vita e non della morte. Ecco perchè il mondo ebraico ha sempre rifiutato il culto dei morti, tanto presente nelle culture del tempo come quella egiziana. Il mondo ebraico ha sempre protestato contro le culture incentrate sulla morte. Alcuni salmi ci ricordano questo: non sono i morti che lodano il Signore, né alcuno di quelli che scendono nella tomba; (salmo 115,17). La torah è definita un albero di vita (proverbi 3,18). Ne deriva che la santità comporta che si deve avere un’attenzione particolare alla vita come realtà che viene da Dio. Ed ecco che il caso esemplare dell’impurità è quello causato dal contatto con un cadavere, gli altri tipi di impurità riguardano le emissioni corporee e le malattie. Dio non può essere accostato con tali manifestazioni e dunque chi ha contratto impurità non può accostarsi al santuario.Nello specifico una madre che genera un figlio, oltre ad andare incontro a un grande rischio, sperimenta anche la separazione da qualcosa che prima era una parte del suo corpo, mentre ora diviene una persona indipendente. Se questo è importante per un figlio maschio, è fondamentale per una femmina, la quale potrà divenire a sua volta portatrice di una nuova vita.Le leggi di purità suggeriscono anche un concetto più profondo. Secondo un principio della Halaqà, chi è occupato a compiere un precetto, è esente da altri precetti. Nel caso dell’impurità derivata dal parto è come se Dio dicesse alla madre che ha dato alla luce un figlio: per quaranta giorni nel caso di maschio, e il doppio per una figlia femmina, sei esentata dal presentarti al mio cospetto, nel santuario, perché sei impegnata in uno dei compiti più sacri che esistano, quello di nutrire e accudire il tuo bambino. Non hai bisogno di venire al tempio per entrare in comunione con Dio.Tu stai già vivendo questa unione in modo diretto. Tra alcuni giorni ritornerai alla mia presenza per presentare le tue offerte per aver passato un momento di pericolo ma per ora ammira il prodigio della nascita di tuo figlio.Dunque per rispondere alla domanda: il parto esonera la madre dal culto al tempio in quanto la sua esperienza è già sufficiente ad adempiere i compiti legati al santuario. In questo modo impara l’amore che genera la vita, e cosa significa essere toccati da un assaggio di immortalità nella sua vita mortale.Il cattolicesimo ha ripreso queste usanze, ma ha perso forse l’aspetto originale, accentuando la dimensione di purità morale. Ecco che il Concilio Vaticano II ha fatto piazza pulita di alcune usanze che potevano avere un senso alle origini, ma che sono svuotate di significato in una concezione di liturgia dove il culto che siamo chiamati a rendere a Dio non è racchiuso in un santuario fatto da mani di uomo ma la vita diventa il tempio della presenza di Dio.