Ho un dubbio. Nella Bibbia, Dio dice a Mosè «Io sono colui che sono!». Ho letto parecchio in internet; la frase può essere leggermente modificata secondo la traduzione dall’ebraico, ma parte sempre iniziando «Io sono». Se fosse «Io sono ciò che è», non avrebbe ragione Leibnitz con la sua Monadologia? Mi piacerebbe saperne di più. Un ottantottenne ormai con poca memoriaGiovanni FerreroRisponde padre Athos Turchi, docente di FilosofiaL’espressione riportata dal lettore è databile all’incirca 1000 avanti Cristo, cento anni in più o in meno, comunque in tempi non sospetti e molto anteriori alla nascita della filosofia greca. Dio Jahvè definisce se stesso: «Io sono colui che è (sono)». E giustamente non dice «Io sono “ciò” che è», ma «colui che è». Per la cultura ebraica e per la data, è un’affermazione eccezionale, è come trovare in un testo di Cicerone «mi si è rotto il telefonino», impossibile a essere pensata da un popolo di quel periodo. Infatti quell’affermazione è la dizione positiva del metafisico «principio di non contraddizione» che suona: l’«Essente è e non può non essere», che tradotto in forma appunto affermativa dice: «l’Essente = Io sono e per il fatto che sono, sono colui che è».Il greco Parmenide, siamo circa nel 500-450 a.C., per primo formulò il principio di non contraddizione che sta alla base di ogni ragionamento logico e sensato. Parmenide scrisse dell’Essente: «Che è e (in ragione del fatto che esiste) non può non essere (esistere)», altrimenti se l’Essente «che è» potesse anche «non-essere» è chiaro che non si saprebbe più di che si sta parlando, dato che un «Essente che non esiste» è irrazionale, oltre al fatto che sarebbe impossibile l’esistenza di un «Essente che non esiste», come dire che la luce è buia o il bianco è nero.Si noti che Parmenide usa il termine «Essente» in modalità assoluta, che si traduce «Io sono» e non scrive «l’Essente è “ciò” che è», il cui «ciò» sarebbe limitante e parziale, ma «Che è e non può non essere», cioè ci pone di fronte a un pensiero radicale dove o «c’è l’Essere» o «c’è il Nulla». Lui dice appunto che l’Essente è uno, unico, indiviso, assoluto, eterno, immutabile, ingenerato, immortale, ecc.Penso che Parmenide non avesse letto la Bibbia, e non conosceva il passo di Esodo 3, tuttavia quanto scrive Parmenide si addice a Jahvè, solo che Parmenide è un filosofo e i suoi ragionamenti procedono più per negativo, cioè seguendo i ragionamenti per assurdo, come anche dice Tommaso per questi temi, mentre Mosè ebbe modo di trovarsi faccia a faccia con l’«Essente che è e che, perciò, è colui che è».Dunque non ha nessuna ragione Leibniz perché un Dio-Jahwè del genere toglie qualsiasi «possibilità» di esistere a qualsivoglia tipo di entità: oltre Lui c’è solo nulla. Infatti il «possibile», come dato del pensiero, è solo nella mente umana che ragiona sugli universali, ma non c’è un armadio dove Dio tiene dentro enti-possibili e gli dà esistenza come e quando vuole. Altrimenti la creazione non sarebbe «ex nihilo», ma «ex possibili» e questo è falso. Dunque oltre Dio c’è nulla, per cui ciò che esiste è solo ciò che c’è ed è vero essere secondo il senso e le intenzioni che il Creatore gli ha dato. Poi possiamo liberare tutte le nostre più sfrenate fantasie, ma in concreto c’è tutto quello che Dio voleva che ci fosse.Possiamo ancora chiederci se questo è il migliore di tutti i mondi che Dio poteva creare. In primis, al momento non ne abbiamo altri, secondariamente alla fine della creazione Dio fu soddisfatto del creato che aveva fatto: guardò e vide che era tutto buono, e addirittura quando vide l’uomo disse che era cosa molto buona. Dunque il mondo che viviamo secondo quanto Dio vedeva era un mondo «buono» e quando vi creò l’uomo disse è «molto buono» quasi fosse la ciliegina sulla torta.Il creato insomma per contrario ci indica l’assolutezza e unicità dell’Essere-Dio e il fatto che la parola «Essente-Io sono» è il nome e cognome proprio di Dio soltanto, nessun altro può esser detto «ente» se non posto da Dio stesso.In conclusione io penso che nel Libro dell’Esodo Jahvè abbia fatto la migliore definizione che noi possiamo avere di Dio, lì Jahvè ci rivela esattamente la sua essenza o natura che è quella dell’Essere stesso, e perciò oltre Lui nient’altro esiste se non quello che Lui decide. E l’essenza dell’ «Essere-Dio» è di esistere senza poter non esistere: «Che è e non può non essere» appunto. Teologia e filosofia insomma sono concordi nella definizione dell’«Essere per sé sussistente» come lo chiama Tommaso d’Aquino.