Indulgenza parziale e plenaria: cosa sono e come si ottengono?
Ho letto che esistono 2 tipi di indulgenze, la plenaria e la parziale. Nella indulgenza parziale la quantità di remissione della pena dovuta per il peccato è «proporzionale» al fervore e al distacco dal male che il fedele possiede. Ma come si può stabilire la proporzione del fervore nel chiedere al signore l’indulgenza? E come in base a tutto ciò si valuta se l’indulgenza è plenaria oppure parziale?
Lettera firmata
Il peccato non è solo una avversione a Dio, un voler fare a meno di Lui, un rompere una alleanza con Lui, ha anche un aspetto sociale, riguarda la Chiesa, corpo mistico di Cristo al quale viene inferto una ferita (I Cor. 12,26), Chiesa, popolo di Dio, dal quale il peccatore si allontana, Chiesa madre che con il peccato viene disconosciuta. Ogni peccato è anche una ingiustizia che va riparata. Tutto questo esige una pena riparatrice, che reintegri, in qualche modo, la ferita sociale costituita dal peccato. Da qui nascono le pratiche penitenziali: elemosine, digiuni, pellegrinaggi ecc.. Sia ben chiaro: le opere penitenziali non sono la condizione del perdono di Dio, ma la conseguenza.
Il perdono di Dio è assolutamente gratuito e si fonda sulla bontà infinita di Dio manifestata dalla redenzione operata dal Signore Gesù Cristo. (cfr. la formula della assoluzione sacramentale) Non si dimentichi, tuttavia, l’aspetto pastorale-pedagogico delle opere penitenziali: esse servono ad educare il cuore, a correggere istinti disordinati, ad esercitare praticamente la carità fraterna. Anche nell’aspetto che ho chiamato sociale del peccato vi sono elementi, oltre quelli teologici sopra accennati, altri di carattere pastorale-pedagogico assai interessanti, soprattutto oggi quando un diffuso individualismo tende a sottovalutare la negatività del peccato riducendolo solo ad un rapporto sbagliato con Dio, che ovviamente è l’aspetto principale, ma trascurando gli aspetti ecclesiali, che non sono meno importanti: non può aver Dio per Padre chi non ha la Chiesa come Madre. (S. Cipriano)
È qui che va collocata la dottrina delle indulgenze: la remissione di quella pena sociale che il peccato comporta. Non è una facile scappatoia per eliminare la necessità di una riparazione o liquidandola con qualche pia pratica. Per ottenere l’indulgenza è necessario il perdono dei peccati attraverso la confessione sacramentale, la comunione eucaristica, la professione di fede, la preghiera per il Papa come segno di comunione con la Chiesa, il tutto accompagnato da un sincero sforzo di distacco dal peccato. Solo allora quella pena derivata dal peccato può essere rimessa. Nella chiesa antica la prassi penitenziale era molto dura e severa. Non possiamo entrare qui nelle motivazioni. Basti solo accennare all’articolato cammino del sacramento della penitenza che la storia ci testimonia per comprendere che da una parte la Chiesa ha sempre avuto coscienza del suo ministero, derivato dagli Apostoli (Gv. 20,23) di poter rimettere i peccati, dall’altra le molte forme, condizionate dai tempi e dalle sensibilità diverse, che l’esercizio pratico di questo ministero ha conosciuto. I lapsi, cioe coloro che durante le persecuzioni avevano in vari modi rinnegato la fede, venivano sottoposti a lunghi anni di penitenza, che in alcuni casi e in alcuni luoghi, durava tutta la vita, prima di essere riammessi alla vita ecclesiale. Tale severità, però, finì con lo scoraggiare molti figli prodighi dal tornare alla casa paterna e tra le braccia di Quei che volentier perdona (Purgatorio, III).
Una prassi penitenziale più realistica e possibile venne formandosi con molta gradualità proponendo delle mete raggiungibili a tutti. E’ in questo ambiente che nasce la possibilità dell’indulgenza, cioè di poter compiere determinati possibili gesti penitenziali per assolvere a quella pena che il peccato comporta e questo nella fiducia della grande, anzi infinita penitenza di Gesù Cristo e della Chiesa unita a Lui come i martiri e i santi. Fino ad un recente passato si concedevano indulgenze in giorni e anni (100 giorni, 1 anno ecc…). quest’uso derivava, come un contrappeso, alla prassi della cosidetta penitenza tariffata (ad ogni peccato corrispondeva una pena) di cui sono pieni i libri penitenziali del primo medioevo. Il citato documento di Paolo VI ha lasciato cadere questo modo di esprimersi ed scelto di parlare di indulgenza plenaria e parziale. Questa distinzione non dipende dal maggior o minore fervore del fedele, di cui Dio solo è giudice, ma dalla volontà della Chiesa di concedere l’indulgenza plenaria o parziale. Nel primo caso intende una remissione piena della pena dovuta per il peccato, nel secondo caso è come un incoraggiamento ad andare avanti nella conversione e a fidarsi di quella «.. bontà infinita ha si gran braccia che prende ciò che si rivolge a lei». (Purgatorio, III)
Del tutto personale è invece quel fervore e distacco dal male necessario perchè l’opera indulgenziata non si riduca ad un vuoto e inutile rito. Scrive il card. Journet nella sua opera Teologia delle indulgenze: «Le disposizioni richieste per ricevere una indulgenza sono in primo luogo la presenza nell’anima della grazia e della carità. Come potrebbe infatti la pena del peccato essere perdonata quando il peccato stesso perseverasse… La grande preoccupazione della chiesa non è tanto quella di concedere una indulgenza, quanto quella di cogliere l’occasione per indurre i fedeli al fervore della carità…. è il desiderio di intenficare la penitanza e la carità nel popolo cristiano che la porta ad annunciare delle indulgenze e ad indire dei giubilei».