In quale momento della storia umana è avvenuto il peccato originale?
Ho una domanda a cui non riesco a rispondere. Sia che si accetti la teoria creazionista che quella evoluzionista, sappiamo che l’uomo è apparso sulla terra milioni di anni fa e che da allora si è evoluto radicalmente. Allora, a che punto della storia porre il peccato originale e in che modo?
La domanda riguarda la questione del «peccato originale originante»: il primo atto peccaminoso compiuto dai progenitori, ossia dai primi esseri umani, e da cui avrebbe appunto avuto origine l’intera storia della colpevolezza che ha comportato la redenzione.
Quando e in che modo sarebbe avvenuto il primo atto peccaminoso, «peccato originale originante»? Si domanda la nostra lettrice, tenendo conto che – si accetti o no la teoria evoluzionista – i dati della paleontologia ci attestano comunque un’evoluzione.
I risultati delle indagini scientifiche non appaiono di fatto armonizzabili con il racconto di Genesi, 3 in cui la tradizione teologica e dottrinale della chiesa ha visto l’attestazione del peccato originale originante.
Negli anni ’50 del secolo scorso alcuni teologi hanno proposto interpretazioni concordiste, miranti cioè ad armonizzare la lettera del testo biblico con i dati delle scienze. Si affermava che lo stato paradisiaco era frutto di un intervento speciale di Dio, all’inizio della storia umana, di durata però talmente breve da non poter aver lasciato vestigia scientificamente controllabili.
Questa linea teologica non appare convincente. L’esegesi biblica odierna ha fatto chiaramente comprendere che lo scopo dei primi capitoli della bibbia non è quello di raccontare con esattezza i fatti avvenuti ma di offrire una eziologia, ovvero un racconto sapienziale delle origini che possa fornire una interpretazione della storia passata e presente.
Venendo alla questione, la fede della Chiesa ci chiede di credere che vi è stato un peccato all’inizio della storia umana. Questo ha dato luogo a una misteriosa solidarietà nella colpa a cui la redenzione in Cristo ha contrapposto una più grande solidarietà nella grazia. La fede non ci dice tuttavia che il peccato in questione debba essere inteso esattamente nei termini della disobbedienza narrata nel primo libro biblico.
Ammettendo l’ipotesi evoluzionista e ipotizzando dunque che a un determinato punto dell’evoluzione sia avventa l’ominizzazione, ossia che l’animale da cui l’uomo discende sia diventato un essere umano, a immagine e somiglianza di Dio, capace d’intendere e di volere Si può anche pensare che a quel punto vi sia stata la disobbedienza: il no del libero arbitrio all’offerta di un’alleanza concessa da Dio come dono di grazia all’inizio della storia.
Comunque li si voglia intendere, i doni preternaturali, grazie ai quali l’umanità sarebbe stata esente dai mali che l’affliggono, potrebbero essere intesi come doni propri di una condizione virtuale anziché storica, ovvero ci sarebbero stati se l’essere umano non avesse peccato.
Se si ammette l’ipotesi evoluzionista possono sorgere difficoltà a sostenere una visione strettamente monogenista. Il monogenismo è la convinzione che tutti gli esseri umani nati in stato di peccato originale debbano discendere fisicamente da colui che ha commesso il primo peccato. In passato la Chiesa ha difeso questa idea perché non si vedeva come il poligenismo, cioè l’ipotesi di più «fili» genetici all’origine del genere umano, potesse conciliarsi con il dogma. La letteratura teologica contemporanea invece è decisamente incline a ritenere il poligenismo scientifico compossibile con i dati della fede. In una umanità in evoluzione il rifiuto della grazia da parte del primo individuo giunto al pieno uso della ragione avrebbe avuto influenza su tutti gli esseri umani anche se non dipendenti da lui per una discendenza genetica.