In che lingua parlavano tra loro Pilato e Gesù?
Nel libro «Piccole storie sul bene e sul male» (edizioni Il Mulino), Harald Weinrich svolge alcune riflessioni sul processo a Gesù sulle quali vorrei sentire il parere di un esperto. L’autore tedesco sostiene che non si sa in quale lingua si sia svolto questo processo. Pilato – in quanto giudice – doveva parlare latino; Gesù parlava aramaico e forse ebraico ma non certo il latino. Forse c’era un interprete che non poteva essere ebreo (nella Parasceve non doveva contaminarsi). Forse c’era un interprete greco. Voi che cosa ne pensate?
Cominciamo dall’aramaico, che è una lingua semitica, imparentata con l’ebraico (sono collegate come lo sono il francese e lo spagnolo fra loro), l’arabo e con altre lingue della stessa area.
Ai tempi dell’impero assiro (ottavo secolo a.C.), l’aramaico divenne comune per tutto il Vicino Oriente antico come lingua della diplomazia. Questo tipo di aramaico si è conservato nei documenti ufficiali e nelle iscrizioni, come quelle trovate su alcune tombe. Durante l’impero persiano (sesto-quarto secolo a.C.), l’aramaico era la lingua predominante della regione, e lo rimase almeno fino all’ottavo secolo d.C.
Forse non molti sanno che questa lingua viene parlato ancora oggi in alcuni villaggi della Turchia sud-orientale, nel nord dell’Iraq e nell’Iran del nord ovest, come pure in tre villaggi della Siria, vicino a Damasco. In quest’ultimo caso si tratta dell’aramaico più vicino alla lingua antica. Di recente queste tradizioni sono state rivalutate anche dal governo siriano, che vuole impedire che si disperdano: fino a non molto tempo fa, infatti, il linguaggio era trasmesso solo oralmente. Nello stesso Iraq esiste una remota tradizione cristiana, con la presenza di caldei e assiri che risale al II secolo d.C. Si spiega così la celebrazione di riti ancora oggi nella lingua siriaca, derivante anch’essa dall’aramaico.
Da quando la Palestina entrò a far parte dell’impero persiano, gli ebrei, che avevano come lingua madre l’ebraico, soprattutto quelli delle classi più elevate, cominciarono a parlare aramaico. Anche parti dell’Antico Testamento sono scritte in aramaico: Esdra 4,8 – 6,18; 7,12-26; Daniele 2,4 – 7,28; Geremia 10,11. Questo significa cheuno dei principali passi nell’Antico Testamento per la nostra comprensione di Gesù compare in aramaico: la visione di Daniele di «uno simile ad un figlio d’uomo» è scritta in aramaico (kebar ‘enash: Daniele 7,13).
Negli anni in cui vive Gesù l’aramaico era la lingua più parlata in tutta la regione, sebbene l’ebraico possa essere stato dominante in Giudea, ma era diffuso anche l’uso del greco.
Verso la metà del primo secolo dell’era cristiana, i rotoli in ebraico dell’Antico Testamento furono tradotti in aramaico per destinarli alle sinagoghe, perché molti non capivano più l’ebraico. È molto probabile che in Galilea, dove Gesù crebbe e iniziò il suo ministero, l’aramaico fosse la lingua più comune, sebbene molti erano in grado di comprendere l’ebraico ed anche un po’ di greco, lingua nella quale viene scritto il Nuovo Testamento. I Vangeli, tuttavia, comprendono parole non greche nel testo (ma scritte con lettere greche). Alcune di queste parole sono certamente aramaiche; altre sono probabilmente aramaiche, sebbene possano essere una variante dell’ebraico. La parola «Abbà» per esempio, che significa «babbo» o «padre» in aramaico, può anche essere trovata in certi dialetti ebraici.
Una delle frasi in aramaico dette da Gesù che più ricordiamo nei Vangeli è il grido di Gesù in croce: «eli eli lema sabachthani» (Matteo 27,46). Marco 15,34 usa eloi invece di eli. La frase è poi tradotta in greco da Matteo e Marco: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Si tratta di una citazione dal Salmo 22,1, che in ebraico si legge: «‘eli ‘eli lama ‘azavtani». Il fatto che Matteo e Marco abbiano fatto parlare Gesù in aramaico suggerisce che questo versetto fu ricordato dalla prima comunità cristiana nella sua lingua originale.
Ancora prima della passione, un episodio in cui Gesù si esprime in aramaico si trova in Marco 5,41. Gesù entra nella casa di Giairo, un capo di una sinagoga, la cui figlia era morta. «Presa la mano della bambina, le disse: Talità kum, che significa: Fanciulla, alzati». Sia Matteo che Luca raccontano la stessa vicenda, ma omettono la frase (Matteo 9,24; Luca 8,54). Matteo semplicemente descrive la guarigione mentre Luca inserisce solo la traduzione in greco. Solo Marco riporta delle parole di Gesù in aramaico. Probabilmente quest’uso dell’aramaico non era comune: proprio questo motivo l’evangelista ha sentito la necessità di riportarlo.
Questo prova con certezza che Gesù parlava aramaico e lo usava per il suo ministero: sarebbe molto difficile pensare diversamente. Questo però non vuol dire che egli usò solo questa lingua. Gesù, infatti, parlava o insegnava anche in ebraico, come per esempio nell’uso frequente di amén (vedi Matteo 5,18; Giovanni 3,11).
In Luca 4 si racconta dell’episodio di Gesù alla sinagoga della sua città, Nazareth, e durante la riunione dell’assemblea lesse i rotoli del profeta Isaia. La lettura avvenne sicuramente in ebraico, secondo l’uso sinagogale, che prevedeva la successiva traduzione in aramaico (ogni versetto nel caso de i libri della Torah, ogni tre per gli altri libri). Anche se parlava aramaico come prima lingua, Gesù aveva appreso l’ebraico come quasi tutti gli ebrei del tempo.
Diversi altri racconti dei Vangeli favoriscono la teoria secondo cui Gesù era in grado di servirsi anche dell’ebraico quando la situazione lo richiedeva. Di frequente Gesù ebbe conversazioni e discussioni con capi religiosi ebrei. Questi dialoghi di solito avvenivano in ebraico anche tra chi aveva come prima lingua l’aramaico. Per essere credibile come interlocutore, con molta probabilità Gesù usava l’ebraico quando era impegnato in discorsi teologici con i farisei, gli scribi e gli altri capi ebrei.
Gesù però potrebbe aver conosciuto anche il greco. Da quando Alessandro Magno conquistò la Palestina nel 332 a.C., la lingua greca s’impose come lingua del governo e, sempre più, del commercio e della cultura. È probabile che, al tempo di Gesù, gli ebrei con una buona istruzione, soprattutto quelli delle classi più alte, come che si occupavano di commercio e di governo, abbiano conosciuto e usato il greco, o avuto almeno delle basi di questa lingua.
Il Vangelo di Matteo racconta il dialogo di Gesù con un centurione romano (Matteo 8,5-13). Il centurione quasi certamente parlava in greco e, come Matteo scrive, lui e Gesù conversavano senza un interprete, come suggerisce il senso della narrazione.
Lo stesso si potrebbe affermare della conversazione avuta da Gesù con Ponzio Pilato prima della sua crocifissione (Matteo 27,11-14; Giovanni 18,33-38). Anche qui si può pensare alla possibilità di un traduttore (non menzionato nel testo!), ma l’espressività del racconto favorisce la realtà di un Gesù che parlava greco. Anche Pilato avrebbe usato il greco, non il latino, come ha invece immaginato Mel Gibson in The Passion. Non è nemmeno ipotizzabile che un governatore romano abbia potuto conoscere ed usare l’aramaico.
Se Gesù conosceva abbastanza il greco tanto da conversare con un centurione romano e con un governatore romano, dove lo apprese? La spiegazione più probabile orienta verso la Galilea. Sebbene l’aramaico fosse la prima lingua di Nazareth, la città natale di Gesù era a poca strada da Sefforis, una città importante, che fu anche capitale della Galilea, in cui si parlava greco. Quindi anche se non si può essere certi che Gesù parlasse il greco, si può ragionevolmente immaginare che possa averlo utilizzato in diverse occasioni.