In caso di malattia bisogna affidarsi prima a Dio o alla medicina?
Come si rapporta la Chiesa con la medicina? In caso di malattia, bisogna prima affidarsi a Dio o alla medicina?
Stefano De Rosa
Non sono pochi i cristiani che ricorrono al Signore come si ricorre ai pompieri in caso di incendio: se in casa prende fuoco accidentalmente un foglietto d carta, prima di tutto cerchiamo noi stessi di estinguere le fiamme, ma se non ci riusciamo e c’è il rischio di mandare tutto a fuoco, allora chiamiamo i pompieri. Per qualcuno Dio è come il pronto intervento dei pompieri che devono essere disturbati solo «in caso di effettiva necessità». Un grande teologo del secolo scorso, Dietrich Bonhoeffer , metteva in guardia contro l’idea di un Dio tappabuchi che vive al di fuori della realtà mondana e che interviene per sopperire alle nostre ignoranze e impotenze e, soprattutto, nelle situazioni-limite dell’esistenza. A pensarci bene questo dio-usa-e-getta è del tutto uguale all’idolo incaricato di far fecondi i campi. Con il progresso della scienza e della tecnica i margini di intervento di questo dio factotum si sono molto assottigliati, anche se restano per ora ancora tante cose che non possiamo risolvere da soli per scarsità di conoscenze e di mezzi. Così nel caso di un tumore, prima si prova con la chirurgia e la chemioterapia e, se queste falliscono, si comincia a pregare il Signore, la Madonna e i Santi.
Esiste un atteggiamento opposto, ispirato al fondamentalismo più radicale e presente anche in alcuni gruppi movimenti cattolici che potremmo esprimere così: dal momento che Dio è il Signore di tutto e che la vita e la morte di ogni uomo sono nelle sue mani, in caso di malattia la prima e unica cosa importante è pregare e affidarsi a Lui. Le cose, però, non stanno così.
Noi sappiamo che Dio è amore e provvidenza e che egli, dopo aver creato il mondo, non lo ha abbandonato al suo destino perché le leggi che reggono il mondo e che sono alla base dell’infinito dispiegarsi della realtà sono espressioni della sua bontà paterna. All’uomo, in particolare, ha impresso il sigillo della sua onnipotenza e a lui, alla sua intelligenza e libertà ha affidato le sue opere. Anche la medicina è frutto dell’ingegno umano, nobile arte che si prende cura del prossimo aiutandolo a conservare e recuperare la salute. La medicina è – sotto questo punto di vista – un dono di Dio e ricorrere alla medicina è riconoscere implicitamente la grandezza del Creatore. Quando il medico si impegna a sviluppare sempre più la sua competenza, quando opera con intelligenza e secondo i dettami della sua scienza, quando vive il suo lavoro con dedizione, allora possiamo dire che in lui prende forma concreta la provvidenza di Dio. Affidarsi alla medicina, in questa prospettiva, è affidarsi a Dio perché così egli governa il mondo: Lui che è la Causa prima di ogni esistenza e di ogni divenire, opera nel mondo uscito dalle sue mani attraverso le cause seconde con le loro possibilità e i loro limiti. Ben si comprendono allora le parole del cap. 38, 1-15 del Siracide secondo il quale «la guarigione viene dal Signore», ma bisogna onorare il medico e non disprezzare i medicamenti perché è Dio che ha creato il medico e i medicamenti.
Chi prega Dio per guarire, insomma, non fa della preghiera una alternativa alla medicina, ma riconosce che ogni bene viene dal Signore. Forse dovremmo anche imparare a pregare il Signore per i nostri medici perché agiscano sempre con scienza e coscienza e siano docili alla loro vocazione al servizio dei malati.
Prima o dopo, allora? Io rispondo: insieme.