Il sacrificio di Gesù sulla croce,una «sovrabbondanza d’amore»
Perché un Dio che è creatore, che è Padre, che è Amore, avrebbe avuto bisogno della passione e morte della sua creatura per la remissione dei nostri peccati?
Pongo una domanda che mi assilla da sempre. Perché un Dio che è creatore, che è Padre, che è Amore, avrebbe avuto bisogno della passione e morte della sua creatura per la remissione dei nostri peccati? Perchè c’è stato bisogno ancora una volta di un sacrificio cruento come quelli praticati quotidianamente dagli ebrei nel tempio per liberarsi dalle colpe e ritornare a essere accetti a Dio? Oppure come il sacrificio del capro espiatorio nel giorno dello Yom Kippur o la morte dell’agnello di Pesach? Tutti questi sacrifici offrivano da tempi remoti una forma di «salvezza» attraverso lo spargimeno di sangue. C’era bisogno ancora una volta di una sofferenza tanto tremenda per ristabilire l’unione con Dio decaduta nel giardino dell’Eden e ottenere la salvezza? La morte per la remissione dei peccati è un’idea che proviene da Paolo: la morte di Gesù era un riscatto necessario per liberare l’umanità dalla schiavitù del peccato. Questa interpretazione paolina passò poi nei vangeli scritti successivamente quando la teoria di Paolo era ormai consolidata… Non avrà però il sacrificio di Gesù tutt’altra spiegazione? E quale?
Daniela Nucci
Risponde don Francesco Vermigli, docente di Teologia dogmatica
La domanda della signora Nucci chiede ragione se la morte cruenta di Gesù fosse necessaria alla nostra salvezza. Per risponderle si deve iniziare, distinguendo due diversi piani. Da un lato notiamo che la morte cruenta di Gesù è un fatto, mentre che essa rechi la salvezza appartiene all’ambito della fede. Che i due aspetti (il fatto della morte cruenta di Gesù e la fede nella salvezza che proviene da quella morte) siano stati collegati in maniera necessaria (cioè del «dover essere così»), è potuto accadere: in altri termini nel corso dei secoli è potuto accadere che si sia detto che è stata la morte di Gesù (o meglio quella specifica morte) a portarci la salvezza. Ma è corretto pensarla così?
Andiamo con ordine, perché – tra i tanti luoghi che si potrebbero citare – ci si stupirà di trovare obiezioni simili a quelle della nostra lettrice in uno dei testi più rilevanti della cristologia e della soteriologia di ogni tempo: il Cur Deus homo di Anselmo di Aosta. Nel corso del primo libro dell’opera Bosone – che nella fictio letteraria tiene il posto dell’alter ego di Anselmo – si domanda: «Che giustizia è condannare a morte il più giusto degli uomini al posto del peccatore?» (Cur Deus homo, I.8). E ancora: «Desta meraviglia che Dio goda e abbia bisogno del sangue di un innocente e che non voglia e non possa perdonare al colpevole senza la morte di un innocente» (Cur Deus homo, I.10). Notiamo la grande modernità di questo testo medievale! Quello che si domanda Anselmo (facendolo pronunciare dalle labbra del discepolo Bosone) recalcitra alla mente e al cuore del credente, che rifiuta che sia giustizia condannare un innocente e che Dio goda o almeno cerchi il sangue per salvare l’uomo.
Per rispondere a questa domanda, è necessario fare alcune considerazioni, che in realtà abbiamo già provato ad imbastire in questa stessa rubrica negli scorsi anni: mi riferisco a La missione di salvezza di Gesù: perché Dio ha mandato suo Figlio? del numero del 23 dicembre 2018 e – ancora più esplicitamente – Per la salvezza dell’uomo era necessaria la morte di Gesù? La risposta del teologo del 20 febbraio 2021. In quegli articoli già abbiamo mostrato quale a nostro giudizio debba essere la pista da percorrere. Lo sintetizziamo qui: non pare che sia necessaria la morte di croce; soltanto, è che la volontà di Dio di salvare avviene in un contesto segnato dal peccato e dalla miseria umana, che rendono quest’opera di salvezza ostacolata, respinta, perseguitata; fino alla morte. Citavamo là Lc 22,53 («questa è l’ora vostra e il potere delle tenebre»), versetto che mostra come – nell’approssimarsi alla croce – più grande è l’amore che si mostra, più grande è lo scatenarsi delle forze oscure.
Proviamo ad aggiungere qualcosa. Il richiamo che la signora Nucci fa ai sacrifici dell’antica Alleanza è nell’ordine delle cose: saranno le stesse prime generazioni cristiane a fare questo collegamento. Eppure – come ci invita a ritenere la Lettera agli Ebrei – per quanto grande possa essere la somiglianza con il sacrificio antico, ancora più grande è la dissomiglianza. Ora, proprio la citazione che il cap. 10 della Lettera agli Ebrei fa del Sal 40,7-9, ci aiuta a fare un passo ulteriore. È il salmo che recita: «Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto, non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo. Nel rotolo del libro su di me è scritto di fare la tua volontà”».
La rilettura cristologica che la Lettera agli Ebrei fa di questo salmo ci conduce a un passo ulteriore, si diceva. Perché quel brano ci spinge a considerare che quello che conta non è l’effusione del sangue (nel sacrificio antico, evidentemente non era il proprio sangue…), ma la richiesta di obbedienza alla volontà di Dio.
Veniamo a chiudere. Ciò che rende la morte di Cristo decisiva per la nostra salvezza consiste nell’atto supremo di affidamento al Padre, di consegna alla sua volontà, di obbedienza alla sua parola. Che questo avvenga nella morte cruenta non era necessario per la nostra salvezza. Piuttosto, il credente che contempla quella sofferenza e quella morte è condotto a meravigliarsi e a rendere grazie per la sovrabbondanza dell’amore di Gesù per noi, che come recita Fil 2,8: «umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce». È quella sovrabbondanza dell’amore che nasce dal realizzare la salvezza degli uomini e di obbedire al Padre, anche se per ottenere tutto questo bisognava passare attraverso una morte cruenta.
Del resto, che amore è quello che di fronte alle opposizioni e alle difficoltà – anche se esse arrivassero fino alla minaccia concreta di morte – si tira indietro?