Il riposo domenicale: un baluardo contro l’asservimento al lavoro
A Firenze si è parlato molto, in occasione del Primo Maggio, dell’apertura dei negozi. I sindacati hanno rivendicato il rispetto della festa dei lavoratori. Ci si scandalizza molto meno però per l’apertura domenicale di negozi, centri commerciali e tante altre realtà che costringono tante persone a lavorare nel Giorno del Signore.
Lettera firmata
Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa ci insegna che il comandamento sul riposo è il vertice dell’insegnamento biblico sul lavoro, che ci rivela l’alternanza lavoro/riposo come un ritmo fondamentale dell’esistenza ed una protezione contro ogni forma di idolatria. Il riposo consente infatti agli uomini di ricordare e di rivivere le opere di Dio, dalla creazione alla redenzione, coltivando la riconoscenza verso Dio per il dono della vita e per la sua provvidenza. Il fare memoria di tutto questo diventa pertanto un baluardo contro l’asservimento al lavoro volontario o imposto, e contro ogni forma di sfruttamento larvata o palese. Per questo motivo il riposo sabbatico, nell’Antico Testamento, oltre a consentire la partecipazione al culto a Dio, diventa un istituto a difesa del povero con funzione liberatoria dalle degenerazioni antisociali del lavoro umano (cf. CDSC 258). Anche se è vero che necessità familiari o esigenze di utilità sociale possono legittimamente esentare dal riposo domenicale secondo un’equa turnazione, come Dio cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro (Gen 2,2), così gli uomini creati a Sua immagine, devono godere di sufficiente riposo e tempo libero che permetta loro di curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa (CDSC 284), dedicarsi al culto dovuto a Dio, alla pratica delle opere di misericordia e alla necessaria distensione della mente e del corpo (cf. ibidem). Inoltre è un tempo propizio per la riflessione, il silenzio, lo studio, che favoriscano la crescita della vita interiore e cristiana, che deve sempre essere vissuto come il giorno della liberazione in quanto anticipa la celebrazione della Pasqua definitiva nella gloria del cielo (cf. CDSC 285).
Alberto Moravia, in uno dei saggi raccolti nel volume L’uomo come fine (1964), riconosceva che «per ritrovare un’idea dell’uomo, ossia una vera fonte di energia, bisogna che gli uomini ritrovino il gusto della contemplazione. La contemplazione è la diga che fa risalire l’acqua nel bacino. Essa permette agli uomini di accumulare di nuovo l’energia di cui l’azione li ha privati». Le soste di riposo sono, dunque, lo spazio del silenzio interiore popolato da Dio e dai fratelli coi quali si dialoga e si vive. L’homo faber scopre il senso ultimo del suo esistere non nell’azione, pur necessaria, ma nel riposo, attraverso la sua esperienza di homo religiosus, perché la sosta non è assenza sterile di azione, ma è in sé feconda, genera una vita che è squisitamente interiore e alimenta l’esistere stesso dell’uomo.
Se poi consideriamo che la Lettera agli Ebrei dipinge la vita eterna come un sabato senza fine, non più compresso dalla fuga del tempo, non più occupato dagli idoli terreni e percorso dal frastuono delle disobbedienze e delle ribellioni, delle ingiustizie e del male (3,7-4,11), ecco che attraverso il riposo, l’uomo non solo spiega e dà senso al tempo e alle opere che in esso egli compie, ma viene purificato e trasfigurato ed è introdotto, già ora, nel «tempo» perfetto e pieno di Dio, il «suo riposo» eterno di pace e di luce.