Il rapporto tra il cristianesimo e il cibo: astinenza dalla carne, quando e perché
Il Mercoledì delle Ceneri, il venerdì Santo e tutti gli altri venerdì quaresimali ci asteniamo da mangiare carne. Questo vale anche per la Vigilia di Natale o non è richiesto per quella festa? (Marco Giraldi)
Risponde padre Valerio Mauro, docente di Teologia sacramentaria
La domanda del lettore acquista un significato particolare in questo tempo di Quaresima, che la tradizione della chiesa presenta come tempo dedicato in modo singolare a quella penitenza che dovrebbe facilitare una sincera e più profonda conversione al Vangelo. Questa dimensione della fede rischia di venire svalutata nella prassi concreta del popolo di Dio, proprio mentre il digiuno e l’astensione da certi cibi diventano consueti in altre esperienze, e non solo religiose. La dimensione corporale è mediazione per ogni nostra relazione, nelle quali il rapporto con il cibo gioca un ruolo fondamentale. È famosa la frase del filosofo Ludwig Feuerbach, per il quale «l’uomo è ciò che mangia». Il cibo, infatti, ha un grande valore simbolico, vi si rispecchiano tradizioni diverse, sia nella qualità e preparazione degli alimenti come persino nell’astensione. Questa dimensione antropologica universale è vissuta in vario modo dalle diverse espressioni religiose, con le quali stiamo venendo in contatto per via della globalizzazione e dell’immigrazione. La tradizione ebraica, presente già nella Tôrah (cf Es 23,19; Lv 11,1-16,34) ed elaborata nel tempo dai maestri, elenca come kosher i cibi idonei a essere consumati, insieme a regole precise di macellazione e conservazione. Anche l’Islam prevede una ritualità nei confronti del cibo. Il Corano indica come halal quanto è lecito, sia nel comportamento che nell’alimentazione: solo una macellazione halal permette il consumo della carne degli animali halal. Il principio di fondo al quale ci si deve attenere è la moderazione. In questa prospettiva vi è il digiuno nel mese di Ramadan, «mese in cui fu fatto discendere il Corano come guida per gli uomini e prova chiara di retta direzione e salvezza» (Sura II, v.185). Si tratta di uno dei cinque pilastri della religione islamica. Il digiuno è una dimensione importante per le tradizioni orientali. Per il buddhismo si tratta di uno dei sacrifici o rinunce (dhutanga) che aiutano a disciplinare il desiderio. I monaci lo praticano spesso come passo verso l’illuminazione. Senza essere strettamente proibita, la carne è sconsigliata nei discorsi del Buddha. Per l’induismo l’astinenza L dal cibo è strumento di autodisciplina per favorire il rapporto armonioso con l’assoluto. Anche per l’induismo la carne è sconsigliata. Andando oltre il confine delle grandi esperienze religiose, conosciamo bene la diffusione delle abitudini vegetariane o vegane. Si trovano tracce di un’esclusione della carne già nel VI secolo prima di Cristo. Invece, per il veganismo, nato nel 1944, la rinuncia si estende a latte, uova e derivati per motivazioni etiche, secondo uno stile di vita che coinvolge l’intero vissuto personale. Al termine di questa carrellata, molto semplice e generale, vale la pena ricordare come la Bibbia distingua la relazione fra l’umanità e gli animali nei due «momenti» originari, prima e dopo il diluvio. Nel progetto originario di Dio l’umanità riceve come nutrimento ogni frutto degli alberi che nascono dal suolo, ma non gli animali: «Dio disse: Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde. E così avvenne» (Gn 1,29-30; cf anche Gn 2,9.16- 17). Invece, dopo il diluvio, nonostante Dio benedica Noè e i suoi figli, promettendo un’alleanza che non verrà mai meno, anche la carne degli animali viene concessa in cibo, per quanto con una limitazione nell’atto del mangiare: «Il timore e il terrore di voi sia in tutti gli animali della terra e in tutti gli uccelli del cielo. Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare sono dati in vostro potere. Ogni essere che striscia e ha vita vi servirà di cibo: vi do tutto questo, come già le verdi erbe. Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè con il suo sangue» (Gen 9,2- 4). L’amicizia che legava l’umanità agli animali si è frantumata, la storia del mondo è un processo, intessuto di violenza, attraverso il quale realizzare il progetto di Dio. Sul fondamento di questa Parola, la fede cristiana ha preso le distanze da una ritualità alimentare significativa per il rapporto con Dio. Le parole di Gesù sono chiarissime: non c’è nessun cibo che possa rendere impuro l’uomo, perché lo sono i desideri che nascono dal cuore (cf Mc 7,14-19). E così si conferma nella tradizione apostolica (cf 1Cor 10,25). Tuttavia, questo riferimento cristologico sul valore dei cibi non elimina il valore antropologico dell’astensione da alcuni cibi, compresa la pratica del digiuno, che conserva un’attestazione biblica importante. I giorni di vigilia sono una preparazione alla festa che si sta aspettando. E come la simbologia della festa si manifesta nell’atto del mangiare, la preparazione prevede una qualche forma di digiuno, che nella tradizione si accompagna spesso con l’astensione dalle carni. Si tratta di due aspetti penitenziali diversi per quanto collegati. Storicamente la carne assume il simbolo di lusso, è un cibo che raramente i poveri possono concedersi. Di conseguenza, astenersi dalla carne per un lauto pasto a base di pesce e altri cibi raffinati non appare molto coerente con il valore intrinseco all’astensione. Concludendo questo excursus e rispondendo alla domanda del lettore, oggi la vigilia di Natale non prevede di per sé l’astinenza dalle carni, per quanto questo gesto sia radicato nella tradizione popolare cristiana, confermata dal Codice di Diritto Canonico del 1917, che prevedeva astinenza e digiuno per vari giorni di vigilia, tra cui quella natalizia. La Costituzione Poenitemini di Paolo VI ha ridotto i giorni obbligatori di digiuno, limitandoli al Mercoledì delle Ceneri e al venerdì Santo. Lungo tutto l’anno, però, resta un forte invito a vivere ogni venerdì in astinenza e digiuno. Infine, non si può trascurare oggi la dimensione del rapporto tra cibo e giustizia sociale, per cui il digiuno volontario diventa un elemento di condivisione con chi si trova costantemente in penuria alimentare.