Il Paradiso un luogo fisico o una condizione esistenziale?
Questioni che suscitano tante domande. La risposta del teologo
Nel numero del 28 gennaio di Toscana oggi, don Francesco Vermigli fa un riferimento alla condanna della Chiesa dell’averroismo. Potrei saperne di più, anche con riferimento a come san Tommaso ha combattuto le posizioni di Averroè? (Lettera firmata)
Nel rispondere al lettore Paolo Vannini don Francesco Vermigli ha precisato che l’anima non va in alcun luogo e il Paradiso è una condizione. Mi sono sorte in proposito alcune perplessità che mi spingono a chiedere un chiarimento. Nella mia lunga esistenza ho sempre considerato l’al di là come un vero luogo e anche una condizione particolare dove Gesù vive in corpo e anima, certamente in un’altra dimensione inaccessibile ai viventi. Ho in mente, ad esempio, le parole di Gesù sulla croce al buon ladrone «oggi tu sarai con me in Paradiso» quindi un luogo fisico, altrimenti il corpo risuscitato di Gesù dove sta? Mi illumini, la prego. (Lettera firmata)
Risponde don Francesco Vermigli, docente di Teologia dogmatica
Rispondo a un paio di domande inviate alla redazione di Toscana Oggi, a seguito della lettura di alcuni passaggi del mio precedente intervento all’interno di questa stessa rubrica.
La prima domanda del sig. Sangiorgi punta l’attenzione sulla condanna dell’averroismo a opera della Chiesa. A parte una breve occorrenza tra le proposizioni filosofiche di Nicola di Autrecourt condannate – e poi revocate dallo stesso Nicola (cf. Denzinger, 1028) – l’unica occasione in cui il Magistero abbia esplicitamente condannato Averroè è ciò che si legge al Lateranense V nella bolla Apostolici regiminis di Leone X, datata al 19 dicembre 1513 (cf. Denzinger, 1440), cui abbiamo accennato nel nostro precedente intervento. Toccare l’oggetto di questa condanna ci permette anche di agganciarci al resto della domanda del sig. Sangiorgi: cioè, accennare a Tommaso in relazione ad Averroè. Innanzitutto, dunque, ricordiamo che la dottrina del Lateranense V afferma l’esistenza di più anime immortali (tante quante sono gli esseri umani), contro Averroè e la sua dottrina dell’intelletto unico.
Ebbene, è su questo stesso punto che si era posta anche la grande contrapposizione di Tommaso ad Averroè. In particolare, la posizione anti-averroista di Tommaso si era articolata all’interno della sua opera (una delle tante di Tommaso, certo non tra le più famose) De unitate intellectus contra averroistas, che rimette a tema una controversia su cui aveva già espresso la propria posizione il maestro di Tommaso, Alberto Magno. Mentre la condanna del 1513 sembra avere di mira principalmente la dottrina di Pomponazzi, il trattato di Tommaso pare volgersi criticamente alla recezione che dell’averroismo aveva fatto Sigieri di Brabante. Quali siano stati gli obbiettivi polemici, il De unitate intellectus di Tommaso e la bolla Apostolici regiminis al Lateranense V sono concordi nel difendere la pluralità degli intelletti, contro la posizione di Averroè e dei suoi seguaci.
Veniamo ora alla seconda domanda suscitata dal mio precedente pezzo. Siamo in tutt’altro argomento, dal momento che quest’ultima verte su come si debba intendere il Paradiso. Richiamo alla memoria la celebre frase attribuita (probabilmente senza fondamento…) a Jurij Gagarin, il grande cosmonauta russo, che – giunto fuori dell’atmosfera terrestre – guardandosi intorno, avrebbe affermato: «Non vedo nessun Dio quassù». Il parallelo non sembri forzato, ma anche in quella frase che si attribuisce a Gagarin si tende a pensare Dio come abitante in un luogo; similmente a quando si intende il Paradiso come una realtà spaziale. Rimando a quanto scritto ormai diversi mesi fa a proposito del dogma dell’Assunzione di Maria, sempre all’interno di questa rubrica «Risponde il teologo». Questo il brano, che a mio giudizio può essere richiamato in campo: «Il cuore del dogma [dell’Assunzione di Maria] è definire che Maria è stata assunta in corpo e anima non tanto in cielo, ma alla “gloria celeste” (ad caelestem gloriam assumptam); questo per evitare l’idea di uno spostamento spaziale (come potrebbe essere pensato se si dicesse “in cielo”…), mentre l’Assunzione di Maria è da intendersi più correttamente come un cambio di stato, poiché Maria è presa (ad-sumere appunto) da Dio per l’eternità. Questo è semplicemente quello che conta per il dogma: dichiarare che Maria è nella stessa condizione del Figlio Risorto». Anche il dogma dell’Assunzione di Maria – nel momento in cui viene a modulare i termini, mentre avrebbe potuto facilmente scrivere «in cielo» – ci invita ad allontanarci da una percezione troppo «spaziale» del Paradiso. La frase che Gesù rivolge sulla croce al buon ladrone, non mi pare infine indicare con assolutezza che quel Paradiso debba essere inteso come un luogo; sopportando – per così dire – di essere inteso anche in modo più esistenziale e meno spaziale.
Quello che intendevo dire nel mio pezzo che ha suscitato questa domanda, è che nell’escatologia cristiana (cioè, quella disciplina che riflette sulle cosiddette «cose ultime») si dovrebbe considerare innanzitutto la condizione definitiva dell’uomo, non tanto la sua collocazione spaziale. E cioè, considerare che il compimento della vita dell’uomo è nell’ordine della relazione tra l’uomo stesso e Dio: di una relazione glorificata (che chiamiamo Paradiso), di una relazione da purificare (che chiamiamo Purgatorio), di una relazione negata (che chiamiamo Inferno). In altri termini, quello che intendevo sottolineare era il carattere esistenziale di ogni riflessione escatologica e il fatto che – ogni volta che abbiamo a che fare con il mondo di Dio – appare necessario compiere una sorta di purificazione del nostro immaginario e dei nostri concetti.
Detto queste cose, grande è il ringraziamento per queste due domande, che indicano interesse e una costante curiosità intellettuale e spirituale per la teologia e per la fede.