Il dilemma di una nonna: «I miei nipoti non sono stati battezzati. Cosa fare?»
La moglie di mio figlio è molto critica verso la Chiesa … hanno due figli, lei non li vuole battezzare, dice che quando sono grandi sceglieranno loro. Mio figlio si adegua, a me dispiace. Allo stesso tempo, non vorrei mettere in difficoltà mio figlio o addirittura incrinare la serenità della loro famiglia. Posso aspettare serenamente che venga il tempo in cui saranno battezzati?
Lettera firmata
Risponde padre Athos Turchi, docente di filosofia
Non saprei dire alla lettrice se aspettare o meno serenamente, le direi «stia serena comunque». Nel mondo odierno in genere chi non è battezzato da piccolo non si battezza più, le auguro di vivere un’eccezione.
Riporto qui per sommi capi e in generale, la posizione della Chiesa, perché il battesimo è sempre un sacramento eccezionale, ed è bene che tale rimanga perché è l’assimilazione dell’uomo al Cristo e a Dio stesso. Ogni sacramento è fondato sulla libera scelta del soggetto richiedente e sulle condizioni poste dalla normativa ecclesiastica. Così il battesimo ha senso se l’uomo interessato lo richiede, ne è cosciente e vi s’impegna. Dunque, dato che deve scegliere, si suppone che sia un soggetto «adulto». Il termine adulto nella Chiesa è piuttosto elastico perché in generale significa un soggetto che in qualche modo è capace di comprendere quello che fa e lo vuole fare, per cui dai dieci anni in su, all’incirca, si ritiene che la persona sia in grado sufficiente di capire quello che fa, com’è il caso della Cresima. Nella prassi ecclesiastica non è necessario insomma aspettare 18 anni.
Nei primi tempi la Chiesa, in generale, battezzava persone adulte dopo una conveniente istruzione e conversione, proprio perché il battesimo doveva essere una libera scelta e un mutamento di vita. Addirittura molti ne approfittavano per battezzarsi più tardi possibile, per saldare così tutti i peccati accumulati.
Tuttavia fin dai primordi del cristianesimo vi erano battesimi di bambini: gli Atti degli Apostoli testimoniano che talvolta fu battezzata tutta la famiglia, bambini compresi. È il caso della famiglia del centurione Cornelio a Cesarea Marittima, oppure a Filippi della famiglia di Lidia e quella del carceriere di Paolo. Già alla fine del II secolo, pur predominando il battesimo degli adulti, si ha la conferma di un crescente numero di battesimi di bambini. A partire dal V secolo circa, il battesimo dei bambini diventa una regola. Per alcuni secoli si battezzavano i bambini una volta raggiunti i tre anni di vita, norma che rimane ancora in molte Chiese di Rito Orientale: in un’unica celebrazione i bambini, verso i tre anni, ricevono battesimo, cresima ed eucaristia.
In Libia, le suore mi dicevano che quando erano addette alla sala-parti, battezzavano i bambini che nascevano. Per cui, in una cittadina libica, i nati in ospedale tra gli anni 1936-1966 sono tutti battezzati: sono islamici battezzati e non lo sanno. Ha senso una cosa del genere? Ha senso battezzare un bambino che poi vive in una famiglia atea, dove non avrà più né educazione né esempi cristiani? Ho delle difficoltà a rispondere.
Intanto possiamo dire che una famiglia è un corpo e un’anima sola, è una unità anche se sono più persone. I figli fanno parte dei genitori e i genitori sono una stessa cosa con i figli. Questo spiega chiaramente perché i bambini non solo possono, ma si fa bene a battezzarli perché sono parte della fede e della grazia dei genitori. È bene perciò non «privare il bambino della grazia inestimabile di diventare figlio di Dio» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1250). Con i genitori crescono nella fede e vengono educati alla carità e alla vita cristiana. Il matrimonio è un programma di vita che gli sposi progettano e poi attualizzano insieme ai figli, in tal modo il matrimonio cristiano va realizzato nella stessa fede: genitori e figli.
Si può battezzare un bambino che poi vive una situazione familiare atea? Direi di sì, perché ancor oggi noi siamo una società in cui, grosso modo, valori e esempi cristiani sono visibili e possono in qualche modo coinvolgere il battezzato prima o poi. Di fronte a famiglie evidentemente non credenti far loro battezzare un figlio per forza non mi sembra il caso, Dio, credo, abbia mente e cuore più grande di quello che materialmente accade ai suoi figli. Tuttavia per coloro che sono cristiani si capisce il dispiacere di non poter crescere nella fede i propri parenti, e può addolorare non solo non vederli cristiani, ma anche sempre più lontani dalla vita religiosa. Tuttavia è bene anche pensare che Dio è al di sopra delle piccinerie degli uomini e fa sorgere il «suo» Sole su buoni e cattivi.
Athos Turchi