Il delicato compito di proclamare la Parola
Ho trovato molto interessante la notizia che il Papa, in ottobre, aprirà a Roma una lettura integrale della Bibbia, che sarà in parte anche trasmessa in televisione. Trovo molto utile favorire la conoscenza della Bibbia. E trovo molto bello che questo venga fatto attraverso un evento pubblico: non ho niente contro la lettura «privata», personale della Bibbia, ma penso che il modo migliore per apprezzare la Parola di Dio condividerla, leggerla in maniera comunitaria. A ottobre, fra l’altro, si aprirà anche il Sinodo dei Vescovi dedicato proprio alla Sacra Scrittura. Sarebbe molto bello se occasioni come quella di Roma venissero ripetute anche nelle nostre città. Il momento fondamentale per avvicinarsi alla Bibbia rimane comunque,credo, la Messa: anche qui forse si potrebbe fare qualcosa per solennizzare il momento delle letture, per dare ai lettori una preparazione migliore. L’abitudine di far leggere bambini e ragazzi, ad esempio, ha lo scopo di motivarli e coinvolgerli nella celebrazione; ma trovo che a volte si corra il rischio di far perdere a tuti gli altri fedeli la possibilità di comprendere e apprezzare la Parola di Dio, se letta in maniera insicura e imprecisa. Che ne pensate?
Elena Paci
La riforma dei riti e dei libri liturgici ha permesso la riscoperta di uffici e ministeri che erano stati di fatto trascurati nella vita delle comunità. In modo particolare, cominciando a collegarmi con la lettera sopra riportata, il compito di leggere la Parola di Dio durante la liturgia, soprattutto eucaristica, si è concretizzato nel ripristino del ministero istituito del lettorato. Abbiamo notizie di questo ministero fin dai primi secoli dell’era cristiana. La distinzione fra colui che legge e l’assemblea che ascolta è radicata nell’esperienza cultuale del popolo d’Israele (cf Neemia 8,13-18), raccolta poi dalla liturgia cristiana. In Apocalisse 1,3 ne abbiamo la prima testimonianza: «Beato il lettore e coloro che ascoltano le parole di questa profezia e osservano ciò che vi è scritto». Uno dei primi e più famosi documenti liturgici, la Tradizione apostolica, compilata in ambiente romano nella prima metà del III secolo, riporta come il lettore sia «istituito quando il vescovo gli consegna il libro [delle Sacre Scritture]; non riceve infatti l’imposizione delle mani».
Proprio come oggi, anche allora avevamo il medesimo gesto rituale, la consegna della Bibbia da parte del vescovo. Altri documenti sottolineano le diverse qualità, anche morali e spirituali, che il lettore dovrebbe avere. Alla puntualità nelle assemblee si deve accompagnare un’abitudine al parlare moderato e gentile, una capacità di lettura chiara e forte. Sembra provato che in Italia e in Africa anche degli adolescenti abbiano esercitato il compito di lettori. Col tempo il compito di leggere è stato assorbito dalla figura del prete che svolgeva di solito tutte le funzioni principali previste dalla celebrazione eucaristica. Con la riforma del Concilio Vaticano II la liturgia trova l’espressione migliore in una condivisione e complementarietà di ruoli, compiti e carismi. Si inserisce qui la rinnovata istituzione del ministero laicale del lettore, voluta da p. Paolo VI con il documento Ministeria quædam.
Nelle celebrazioni ordinarie, però, colui o colei che proclama la Parola è spesso un lettore «di fatto». Non si tratta né di una novità, né di un abuso. Già nel 250 il vescovo Cipriano di Cartagine scrive di aver costituito lettore un certo Saturo, dopo che per due volte gli aveva dato l’incarico di leggere durante la veglia pasquale. E’ comprensibile che un compito ufficiale, ma proprio di ogni fedele, in quanto inserito con il battesimo nell’unico popolo sacerdotale, possa essere svolto da tutti nei casi più opportuni. La possibilità di un ministero di fatto del lettore era stata prevista nell’introduzione al Lezionario, dove troviamo che «i lettori incaricati di tale ufficio, anche se non ne hanno avuta l’istituzione, siano veramente idonei e preparati con impegno». La preparazione richiesta è sia spirituale che tecnica. Si tratta, cioè, di una preparazione adeguata alla singolare realtà del testo liturgico: una Parola di Dio espressa in parole umane. Una sufficiente conoscenza di base sia biblica che liturgica dovrebbe essere unita alla capacità di saper leggere in pubblico, in modo da farsi comprendere da chi ascolta.
La proclamazione della Parola durante la liturgia è un compito molto importante, come indica giustamente la lettrice. E non dovrebbe essere usata come mezzo per altri fini, sia pure pastorali. Ho usato il termine «proclamazione» volutamente. Si tratta di un’espressione tecnica, che esprime chiaramente il significato della lettura liturgica. La radice biblica resta di un’importanza capitale: è la comunità che viene radunata per ascoltare la Parola del suo Signore. Questa è l’esperienza di Israele, fin dal racconto del suo cammino nell’esodo verso la terra promessa. Ascoltare non equivale a leggere. Per questo durante la liturgia la Parola di Dio andrebbe ascoltata, mettendo da parte quei sussidi che riportano le letture della celebrazione. Serviranno in altri momenti, sia per la preparazione che per una rilettura personale. Il momento liturgico specifico della Parola è il suo ascolto, secondo questa precisa modalità antropologica.
Per un servizio di così forte significato simbolico sono importanti tanto la preparazione quanto la competenza e la capacità di coloro che leggono. Ogni scelta pastorale dovrebbe tenere presenti le indicazioni brevemente accennate. A titolo più propriamente personale, vorrei aggiungere un ultimo tassello a questa breve risposta. La vita ecclesiale si radica sul fondamento sacramentale dell’esperienza cristiana. Per questo motivo, in merito al servizio di lettore, che assume sempre un alto valore ed una significatività ecclesiale, vedrei bene solo coloro che hanno già ricevuto la pienezza dei sacramenti dell’iniziazione cristiana. Sulle capacità umane, di comprensione e di chiarezza di lettura, dovrebbe innestarsi quella realtà sacramentale piena, che, attraverso i doni del battesimo e della confermazione, costituisce il credente immagine di Cristo e lo inserisce pienamente nella Chiesa per servire Dio e i fratelli.