Mi chiedo: è condivisibile il pronunciamento del Papa emerito sul celibato sacerdotale, che si pone in contrasto con una eventuale decisione che Papa Francesco potrebbe prendere nella fattispecie specifica dettata dalla necessità di garantire un minimo di assistenza religiosa alle sperdute tribù che vivono in zone immense come l’Amazzonia? Devono vivere come pagani? Sono solo un aspirante cristiano come tanti, inidoneo forse a dare giudizi, ma non posso non pensare che questo sia un comportamento un po’ irresponsabile che il Papa emerito avrebbe dovuto evitare, proprio per il bene che nutre verso la sua Chiesa. Speriamo che il Signore assista questa Chiesa, attaccata finanche da chi dice di volerle bene.Lucio Croce Non capisco perché scandalizzarsi per quanto affermato da Benedetto XVI, che ha semplicemente ripetuto quello che Paolo VI e Giovanni Paolo II avevano detto prima di lui, e che anche Papa Francesco ha affermato in alcune occasioni. Il celibato dei preti è strettamente legato al dono totale di sé a Dio, ad immagine di Gesù. È una disciplina antica di secoli per la Chiesa cattolica, e non è questione da mettere in discussione: aprire uno spiraglio su questo, pur legato a situazioni particolari come quelle dell’Amazzonia, potrebbe portare a pericolose ambiguità. La Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica ovunque opera. Preghiamo piuttosto che il Signore susciti vocazioni di giovani disposti a rinunciare a tutto, per servire Dio e la Chiesa.Pietro Zanotti Riguardo al celibato ecclesiastico, va ricordato che le Chiese cattoliche di rito orientale sono in piena comunione con il Papa e vivono la stessa fede della chiesa cattolica, pur conservando autonomia per quanto riguarda disciplina e consuetudine liturgica. Nell’autonomia della disciplina rientra proprio la possibilità per uomini sposati di diventare sacerdoti. Sul Catechismo della Chiesa Cattolica si legge: «Tale prassi è da molto tempo considerata come legittima; questi presbiteri esercitano un ministero fruttuoso in seno alle loro comunità».Carmelo BellaviaRisponde mons. Basilio Petrà, preside della Facoltà teologica dell’Italia centraleLe tre lettere toccano tutte il tema del celibato ecclesiastico, seppure da punti di vista diversi e con valutazioni diverse.La risposta adeguata richiederebbe ovviamente molto tempo e spazio. Mi limito dunque a quello che si può considerare il punto fondamentale, cioè qual è l’attuale contesto teologico e giuridico della legge del celibato ecclesiastico nella Chiesa cattolica. Se qualcuno vuole approfondire, tra i molti testi possibili, mi permetto di rinviare ai miei scritti facilmente rintracciabili su internet.Tanto la seconda lettera quanto la terza fanno riferimento alla Chiesa cattolica e ne traggono conclusioni diverse: per la seconda lettera, infatti, il celibato è una disciplina antica della Chiesa cattolica che va conservata; la terza ci ricorda che la Chiesa cattolica conosce anche la prassi degli uomini sposati che sono ordinati presbiteri. Sembrerebbe una contraddizione. In realtà, non c’è contraddizione: basta ricordare che la Chiesa cattolica non coincide con la Chiesa di rito latino (o romano) ma è «una comunione di ventidue Chiese sui iuris, inclusa la Chiesa latina, la più grande di tutte». Dunque, la Chiesa latina (o romana) è solo una delle Chiese della comunione cattolica, tutte le altre sono Chiese di rito orientale. La stragrande maggioranza delle Chiese (21) che costituiscono la comunione della Chiesa cattolica è di rito orientale e derivano dalle cinque tradizioni orientali (alessandrina, antiochena, armena, caldea e costantinopolitana). Di queste Chiese, 19 prevedono l’ordinazione di uomini sposati, al punto che il clero parrocchiale è per lo più sposato. Alcune di queste Chiese (ad esempio ucraina, romena, ungherese ecc) hanno un clero sposato molto numeroso: si può ritenere che nel loro insieme i preti sposati siano alcune migliaia. Si differenziano le due Chiese orientali indiane (malabarese e malankarese) che recepiscono la legislazione latina. La Chiesa latina infatti ha la legge del celibato per i presbiteri: tuttavia, anch’essa ha sacerdoti sposati, giacché la legge celibataria – essendo una norma ecclesiastica e non di diritto divino – è dispensabile dal romano pontefice e di fatto fin dai tempi di Pio XII la dispensa è stata accordata nel caso di ministri convertiti al cattolicesimo da altre Chiese, anche prive di valido sacerdozio: un ultimo caso recente – piuttosto noto per la sua estensione e per il suo significato – si è avuto con l’ammissione di ministri prevenienti dall’anglicanesimo. Ciò significa che da Pio XII in poi si è consentito per motivi pastorali l’ordinazione presbiterale di uomini sposati, senza chiedere l’interruzione dei rapporti coniugali. Faccio quest’ultima annotazione perché dai primi secoli cristiani fino al Concilio di Trento la Chiesa latina ha ordinato uomini sposati, imponendo tuttavia sempre più la cosiddetta lex continentiae ovvero la legge che obbligava all’interruzione dei rapporti coniugali dopo l’ordinazione. Come detto, dalla ripresa di Pio XII in poi non è stata imposta tale legge; non va dimenticato infatti che dagli anni ’30 è andata crescendo nella Chiesa cattolica romana una maggiore consapevolezza riguardo al valore del matrimonio e del vissuto sessuale in esso. Da quanto appena detto, risulta chiaro che la Chiesa cattolica in quanto cattolica o universale ammette tanto la via di ammissione celibataria al sacerdozio quanto la «via uxorata» (la possibilità per uomini sposati di essere ordinati presbiteri). La differenza delle due vie non incide sul valore intrinseco del sacerdozio: sono veri e propri sacerdoti di Cristo e della Chiesa tanto gli uni quanto gli altri, come è formalmente ribadito dal Decreto Conciliare Presbyterorum ordinis al numero 16. La scelta della Chiesa latina di mantenere come via ordinaria la legge celibataria è storicamente dovuta a due ordini di motivi: preferibilità organizzativo-pastorale e preferibilità teologico-spirituale. Ovviamente sono motivi la valutazione dei quali può subire variazioni nel tempo e nella crescita della autocoscienza teologica e di fatto è su tali motivi che oggi il dibattito principalmente si pone. Spetta al Romano Pontefice determinare l’indicazione normativa ordinaria nel governo delle varie Chiese della comunione cattolica. Concludendo queste poche righe, permettetemi di rinviarvi ad alcuni documenti ufficiali che dicono quello che sopra ho sintetizzato: Decreto Conciliare Presbyterorum ordinis,16; il Codice di diritto canonico per chiesa latina (1983), can. 1047, § 2,3; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (1990), cann. 373-375; Catechismo della Chiesa Cattolica (1997) nn.1579-1580.