Il battesimo: meglio da bambini o da adulti?
Vedo che sono sempre di più le famiglie che scelgono di non battezzare i bambini. Allo stesso tempo, aumentano le persone che si battezzano in età adulta. Mi chiedo, è corretto dire, come fa qualcuno, che è giusto lasciare ai figli la libertà di decidere se battezzarsi quando saranno grandi?
Lettera firmata
Risponde padre Valerio Mauro, docente di Teologia sacramentaria
Cosa c’è in gioco nel battesimo? Per rispondere correttamente alla domanda del lettore possiamo tenere presenti da una parte la trasformazione sociologica che sta avvenendo nel nostro paese e dall’altra una comprensione più ampia e profonda dell’evento battesimale.
La realtà del vissuto di fede in Italia è profondamente mutata in ogni sua espressione, compresa la tradizione di battezzare i bambini in tenera età. Per coloro che prendono le distanze, se non proprio da una posizione di fede, quanto meno dall’istituzione ecclesiale, non battezzare i propri bambini è una scelta coerente con il proprio pensiero. Se il numero di adulti che desiderano il battesimo appare in crescita, risulta in misura minore rispetto ai battezzati che di fatto abbandonano una qualunque frequenza religiosa.
La domanda del lettore, tuttavia, ci pone di fronte a un caso specifico, presente nelle nostre comunità. Si tratta di genitori che, sia pure in qualche modo credenti e talora persino fedeli alla pratica religiosa, ritengono di non dovere far battezzare i loro figli, in nome di una scelta che essi stessi dovranno fare in futuro, liberamente e personalmente. Per giustizia, occorre tener presente come, spesse volte, i genitori siano certi di operare una scelta per il bene dei loro figli. Ai loro occhi si tratta di una scelta dettata dall’amore.
Una risposta a tale comportamento la troviamo nella liturgia, maestra della fede attraverso i suoi riti. Prima dell’infusione dell’acqua sul capo del bambino, il ministro chiede ai genitori se vogliono che il loro figlio o figlia riceva il battesimo nella fede della Chiesa che è stata appena professata. Il battesimo, dunque, è una questione di fede, la grande fede della Chiesa, vissuta, però, in modo personale. Col battesimo ogni credente ha ricevuto il medesimo dono, a prescindere dalla situazione esistenziale in cui si trovava, bambino o adulto che fosse. La dimensione del dono va tenuta presente, perché sotto questa prospettiva appare il valore di offrire il battesimo ai bambini. L’essere umano gode sempre di una libertà in contesto, mai assoluta, limitata nei confini esistenziali. La responsabilità genitoriale conduce a compiere scelte in favore dei figli, scelte ritenute buone e opportune per la loro crescita umana: dal far assumere medicine amare a portarli a scuola tra pianti e resistenze varie. Alla luce di queste considerazioni, si potrebbe rovesciare la domanda del lettore pensando a quanto sia giustificabile dal punto di vista della fede e sostenibile da un punto di vista umano battezzare i figli quando non hanno ancora una capacità decisionale.
La soluzione data dalla tradizione della Chiesa da tempo immemorabile sta nella visione del battesimo come un dono bello, desiderato per il bene dei figli. Ma occorre anche ampliare l’idea di battesimo oltre la mera dimensione rituale, mettendo in luce le conseguenze che ne derivano e che costituiscono la motivazione principale per molti genitori. Sono, infatti, desiderosi di offrire ai bambini la medesima esperienza comunitaria, che riconoscono sia stata determinante per la loro stessa crescita umana e di fede. In effetti, dal battesimo deriva una possibile esperienza di relazioni interpersonali, valore riconosciuto dalla tradizione della Chiesa e da un esame critico dell’esperienza di fede. In forza della propria comprensione di fede è corretto, anzi opportuno, che i genitori conducano al fonte battesimale i propri figli. Per loro scelgono il bene di un incontro definitivo con Cristo, di collocarli in un luogo, l’esperienza di fede ecclesiale, dove potranno vivere la loro personale libertà sotto la guida interiore dello Spirito di Dio.