I giovani, la fatica dello studio, l’ansia del futuro: cosa può fare la Chiesa?
I miei nipoti sono ormai alle scuole superiori o in età universitaria. Da nonna, sono felice di vederli impegnati nello studio, ma ho anche il timore che vivano questa fase della loro vita senza la necessaria consapevolezza. Hanno chiare le ragioni di quello che stanno facendo, il senso del loro studiare? Vedo in loro preoccupazione per il futuro, per il lavoro che potranno trovare dopo aver finito, pensano che probabilmente dovranno andare lontano da casa. Mi piacerebbe che trovassero, anche nella Chiesa, qualcuno capace di orientarli nelle loro scelte e di aiutarli a vivere bene questo loro tempo così bello. Le parrocchie, il mondo cattolico, cosa possono fare per loro?
Una nonna
La domanda sul significato dello studio tocca una questione più generale: qual è il senso di ciò che i giovani fanno, delle strade che intraprendono, delle relazioni che stringono? In un mondo giovanile spesso segnato dal disorientamento esistenziale, la stessa vita scolastica e universitaria risente di questo contesto più generale. Ora, una vita studentesca vissuta nell’assenza di coordinate e di orientamenti ingenera nel giovane sfiducia e ansia.
Il pensiero cade ansioso su un futuro privo di contorni ben delineati: un futuro che può apparire talvolta persino cupo. Ma quando si vive nella continua preoccupazione per il futuro, il presente diventa il tempo di una fatica che non ha sbocchi. Che senso ha faticare per qualcosa che non si vede e non si crede possibile raggiungere? All’ansia segue dunque la sfiducia e la rassegnazione. Si avverte qui la drammaticità dell’esistenza dei nostri giovani, a cui si chiedono oggi atteggiamenti (quali decisione, forza di volontà, fedeltà, chiarezza…), senza che si sia in grado di offrire loro orizzonti di realizzazione e di pienezza per il futuro.
Appare dunque una missione non piccola della Chiesa quella di saper leggere questi tempi così difficili per il discernimento e la realizzazione del vero bene del giovane. In altri termini, sembra essere una priorità pastorale della Chiesa creare le condizioni perché il giovane studente trovi nella comunità uno spazio capace di ri-orientare ciò che è dis-orientato.
Uno spazio capace di calmare le acque agitate della propria coscienza e capace di rinsaldare i giusti legami. In effetti, il primo compito che la Chiesa dovrebbe svolgere è quello di strappare il giovane studente dal pericolo più grande in cui può incorrere: il rischio della solitudine, nello studio, come nella più generale sua esistenza.
Qui deve apparire altrettanto chiaro che la Chiesa si deve presentare al giovane studente non tanto come istituzione che viene in aiuto alle sue preoccupazioni e alle sue agitazioni; quasi come un’agenzia specializzata nelle situazioni di crisi. Essa deve piuttosto presentarsi mediante persone concrete che si fanno incontro al giovane per consolarlo e incitarlo. Persone riconoscibili per la fedeltà e per la pazienza nell’accompagnamento. Persone degne di fiducia, in un mondo che di persone di tal genere appare sempre più bisognoso. Persone che sappiano incitare il giovane a stare innanzitutto nel presente, perché è nella responsabilità e nell’impegno dello studio di ogni giorno che si costruisce il futuro. Invitarlo a cercare il bene possibile nell’oggi, senza fantasticare circa un bene futuribile e immaginifico e impossibile. Insegnargli a pazientare e combattere le tentazioni della rassegnazione; infondere dunque fiducia e dare consigli.
In altri termini, alla Chiesa – o meglio a donne e uomini concreti della comunità – spetta il compito decisivo di dare unità a ciò che è disgregato nella vita del giovane studente di oggi.
Francesco Vermigli