I cristiani e il vino: cosa fare di fronte ai rischi di alcolismo?
Mi è capitato di discutere una persona che, avendo conosciuto famiglie rovinate per casi di alcolismo, è molto critico verso l’uso del vino e degli alcolici, e vorrebbe che nelle occasioni conviviali in parrocchia (feste, cene, incontri etc) non se ne facesse uso. Eppure il vino ha per il cristianesimo un valore importante: a parte l’Eucaristia, mi vengono in mente le nozze di Cana. Io non credo che sarebbe giusto eliminarlo dalla tavola, se poi lo ritroviamo all’altare. Ho ragione?
Lettera firmata
Il vino, come l’acqua ed altri elementi della natura, ha un valore ambivalente cioè può rappresentare qualcosa di positivo o di negativo: è innegabile quanto sia piacevole e refrigerante un bagno nell’acqua del mare, oppure bere un bicchiere d’acqua fresca soprattutto nel caldo dell’estate, ed è altrettanto vero quanto sia pericoloso un lungo periodo di pioggia intensa che può dare vita ad esondazioni e di conseguenza a danni, devastazioni, spesso anche morti.
In parallelo il vino può essere usato con moderazione ed equilibrio, diventando un’ottima bevanda che esalta ed arricchisce un pasto, oppure essere bevuto in abbondanza ed eccesso portando così all’ubriachezza, alla pesantezza, al malessere vero e proprio (fino a farci perdere lucidità e conoscenza).
All’interno della Sacra Scrittura il vino viene indicato talvolta come una bevanda dannosa all’uomo (Gen 9,20-21), altre volte invece è visto come un segno di prosperità (Gen 49,11) e come fonte di gioia (Gdc 9,13). Ecco perché può indicare sia l’ira di Dio (Is 51,17; Ger 25,15; Lam 4,21; Sal 75,9) sia la sua salvezza (Sal 16,5; 23,5; 116,13; Zc 9,17).
Nel rito della pasqua ebraica il vino aveva, ed ha tutt’oggi, un ruolo molto importante proprio perché richiama, nella benedizione dei quattro calici di vino che scandiscono tutto il «seder» pasquale, l’intervento dell’ira di Dio contro gli egiziani e la salvezza che ha realizzato liberando gli ebrei dalla schiavitù.
Nell’ultima cena di Gesù l’uso del vino, oltre ad avere tutto il senso del rito pasquale ebraico, evoca fortemente il sangue dell’agnello sacrificale che gli ebrei offrivano per l’espiazione dei peccati, divenendo – secondo le parole stesse del Signore – segno della nuova ed eterna alleanza sigillata nel Suo sangue versato sulla croce.
Si comprende bene come l’elemento del vino, e quello del pane, non possono essere sostituiti o tralasciati nella celebrazione eucaristica della comunità cristiana per nessun motivo, proprio perché scelti direttamente da Gesù e densi di profondo significato: anche se un sacerdote avesse nel suo passato un’esperienza di dipendenza dall’alcool, nella Messa non può fare a meno di assumere pane e vino consacrati.
Chiarito il perché vogliamo, e dobbiamo, usare il vino nella celebrazione eucaristica, lascerei alla libertà personale di ognuno valutare se usare del vino o altri alcolici durante i pasti, ribadendo che, al pari di ogni altra realtà, un uso equilibrato, consapevole e moderato non può recare danno a nessuno.
Roberto Gulino