Gregorio Magno, modello per pastori e politici
DI ANDREA DRIGANI
La memoria di San Gregorio Magno, Papa e Dottore della Chiesa, che si celebra il 3 settembre, è stata l’occasione per Benedetto XVI di soffermarsi su questo suo grande predecessore, vissuto tra il 540 ed il 604, un romano e un monaco all’alba di una nuova civiltà.
La sua figura singolare, quasi unica, è, per il Pontefice, un esempio da additare non solo ai vescovi ed ai preti, ma anche ai pubblici amministratori. Gregorio, infatti, prima di diventare Vescovo di Roma ricoprì l’alta carica civile di «Praefectus Urbis». Come funzionario imperiale – ha rammentato il Papa – si distinse per capacità amministrativa ed integrità morale. Ma dopo la morte del padre, in risposta ad una precisa vocazione, abbracciò la vita monastica e la Regola benedettina divenne la struttura portante della sua esistenza. Chiamato dal Papa Pelagio II come stretto collaboratore, quando questi morì, fu acclamato da tutti come suo successore. Pur lasciando malvolentieri il chiostro, si dedicò alla comunità, consapevole di adempiere ad un dovere e di essere un semplice «servo dei servi di Dio».
Benedetto XVI ha ricordato che San Gregorio Magno, anche se di salute cagionevole ebbe una forte tempra spirituale e svolse un’intensa attività religiosa e civile, lasciando tra l’altro un vasto epistolario, mirabili omelie, un commento al libro di Giobbe, oltre a numerosi testi liturgici, tanto che a questo insegnamento (una sintesi equilibrata di contemplazione e di azione) si sono ispirati i Padri del Concilio Vaticano II per delineare l’immagine del Pastore di questi nostri tempi. San Gregorio Magno dunque appare un modello fondamentale per i pastori della Chiesa ed anche per i responsabili delle istituzioni politiche.
Riguardo a quest’ultime, il Papa incontrando, pochi giorni dopo, i vescovi del Canada ha osservato che è dannosa l’opera di certi responsabili cristiani della vita civile quando sacrificano l’unità della fede e sanciscono la disintegrazione della ragione ed i principi dell’etica naturale, arrendendosi ad effimere tendenze sociali ed alle domande fasulle dei sondaggi d’opinione. La democrazia – ha proseguito – riesce solo se si basa sulla verità e su una corretta comprensione della persona umana. L’impegno cattolico nella vita politica non può scendere a compromessi su questo principio, altrimenti la testimonianza cristiana nella sfera pubblica verrebbe ridotta al silenzio e si proclamerebbe l’autonomia dal sistema morale. Vi incoraggio a dimostrare – ha concluso il Papa – che la nostra fede, lungi dall’essere un ostacolo al dialogo, è un ponte, proprio perché unisce ragione e cultura.