Figli sani con la diagnosi preimpianto: è giusto?
Ho sentito la notizia che in Inghilterra nascerà una bambina i cui genitori sono ricorsi alla fecondazione artificiale (nonostante fosse tranquillamente in grado di avere un figlio) per poter selezionare gli embrioni ed essere sicuri che la neonata non rischiasse di avere il tumore al seno, malattia ereditaria nella famiglia del padre. Una scelta presa a fin di bene, e umanamente comprensibile: ogni genitore vorrebbe tenere lontani dai propri figli certi rischi. Ma scelte di questo tipo non aprono strade pericolose? E chi dirà agli scenziati quali richieste si possono accettare, e quali invece no? Vorrei sapere cosa dice la Chiesa, e quali limiti etici devono avere interventi di questo tipo.
Come giustamente osserva la nostra lettrice, il desiderio dei genitori di avere figli sani è legittimo e va rispettato e la medicina deve mettere al servizio delle coppie tutte le sue risorse per garantire la tutela della salute dei loro figli. Purtroppo siamo oggi in una situazione di grave divario tra la possibilità di diagnosticare una malattia genetica e la possibilità di curarla efficacemente. Nella grande maggioranza dei casi, come quello in esame, l’unica via oggi praticabile per evitare la nascita di un bimbo con una certa malattia o con una marcata predisposizione a sviluppare una certa malattia consiste nella soppressione dell’embrione portatore di un gene patologico.
Come nel caso dell’aborto procurato dopo diagnosi prenatale positiva per malattie genetiche o cromosomiche (es. sindrome di Down), anche per la coppia inglese la soppressione degli embrioni è stata motivata solo dal fatto che erano difettosi. Si parla, a questo proposito, di scelte eugenetiche, ricordando le teorie eugenetiche in voga all’inizio del XX secolo ed esasperate, infine, nelle leggi naziste che prescrivevano la soppressione dei soggetti handicappati o dei malati mentali.
Nessuno, ovviamente, pensa che una coppia che si sottopone allo stress di una procreazione assistita sia una coppia superficiale, né si può equiparare il desiderio di avere una figlia libera dall’incubo di un tumore al capriccio di chi vuole selezionare un figlio con un certo colore degli occhi o dei capelli. Sono anzi convinto che, nella coscienza di quella coppia, la soppressione di un embrione difettoso sia stata ritenuta una scelta infelice. Eppure la scelta di sopprimere gli embrioni difettosi è stata ritenuta preferibile alla loro sopravvivenza in condizioni di bassa qualità di vita. Qui sta uno dei nodi etici della questione: se riteniamo, cioè, che il valore di una vita umana dipende dalla sua qualità o non piuttosto – come insegna la morale cattolica – dal solo fatto di essere la vita di un essere umano. Anche le vite di bassa qualità e ineluttabilmente «perdenti» nella competizione dell’esistenza hanno diritto ad essere tutelate.
Se una coppia sa che non esiste ancora un modo per evitare una grave patologia trasmissibile geneticamente e ritiene che non sia responsabile procreare, quella coppia – come già insegnava Pio XII – può fare legittimamente e talora anche doverosamente la scelta, certamente dolorosa, di non procreare. Mi sembra invece contraddittorio e crudele che, per avere un figlio sano, si distruggano sei embrioni precoci concepiti in vitro. Nonostante tutte le discussioni sul valore delle esistenze embrionali precoci – negato da molti, in campo secolare – è davvero assurdo concepire vite umane perché siano soltanto vite in prova, distruggendo quelle che non hanno superato la prova e rinviandoli al mittente come «campioni senza valore».
Non ho voluto entrare di proposito sulla liceità delle tecniche di procreazione extracorporea o della diagnosi preimpianto. Non ho voluto neppure insistere sul fatto che la presenza del gene Brca-1 non equivale a certezza di sviluppare il cancro al seno, né che la conoscenza della predisposizione permette di tenere alta la vigilanza o di prendere da adulti la decisione – come fanno non poche donne portatrici – di fare una mastectomia preventiva.
La morale cattolica pone invece il limite della bontà degli interventi medici nella vita umana stessa: bene è ciò che promuove e tutela una esistenza umana, male è ciò che la nega nella sua radice, nel suo valore e nelle sue espressioni.