Essere superstiziosi è un peccato per la Chiesa?
È peccato essere superstiziosi? Non dico andare dai maghi o credere alla stregoneria, ma semplicemente avere abitudini e gesti a cui si attribuisce un effetto positivo, pensando che «portano bene»?
Lettera firmata
Mi riferisco ad esempio all’uso di dire «in bocca al lupo» piuttosto che «auguri» a chi sta per sostenere un esame, oppure alla consuetudine, presente nel mondo dello spettacolo, di evitare determinati colori, all’uso di mangiare determinati cibi a capodanno, o a quello di non incrociare le braccia quando si brinda, e così via. Sono, infondo, forme di folclore o di etichetta.
L’importante è non crederci e non andare in crisi quando qualcuno non le rispetta. In conclusione direi che non si è di per sé tenuti a trasgredire questi codici, e quindi a creare disagio in chi li giudica invece convenienti, a meno che non ci rendiamo conto che, in determinati ambienti, essi esprimano significati anticristiani o comunque inaccettabili, ma non credo che normalmente sia così.
Si deve poi considerare il caso di coloro che vivono in modo più o meno nevrotico e compulsivo certe paure legate alla superstizione. Spesso questi soggetti, di fronte a situazioni che secondo la credenza popolare portano male, non si sperimentano del tutto liberi. Determinati eventi, oggetti o numeri risultano per loro insostenibilmente ansiogeni e da evitare perché riconducibili a idiosincrasie irrazionali, magari acquisite durante l’infanzia per una errata educazione legata a credenze ataviche. Può essere certamente opportuno aiutare queste persone a comprendere l’infondatezza delle loro paure e anche sostenerle nell’impegno superare ogni reazione superstiziosa.
Ma sarebbe sicuramente molto inopportuno ingenerare in queste persone sensi di colpa insistendo sulla peccaminosità della superstizione di fronte a una loro presumibile mancanza di piena libertà.
Gianni Cioli