E se la religione fosse stata creata dall’uomo per il bisogno di credere?
Non saranno mica stati gli uomini, desiderosi di credere in un dio, a costruire tutta l’impalcatura che guida la loro fede?
Piergiorgio Castellucci
La storia umana registra innumerevoli «spiegazioni scientifiche» di come sia sorta e come l’uomo si sia inventata l’idea di Dio. Chi dalla paura della natura, chi da rapporti economici, chi da pulsioni sessuali, chi da rapporti sociali alienati, chi dai culti dei morti, chi dallo spirito di gruppo e di conservazione, ecc. ecc. Si noti ciascuna di queste teorie, che sono anche tra loro contrarie, afferma di essere «scientifica» cioè assoluta e necessaria, per cui le altre dovrebbero essere false. A me pare che sia una falsificazione a vicenda, e forse sarà bene mettersi a pensare da altra prospettiva.
A. Lang (Introduzione alla filosofia della religione, 1969) dice che nonostante l’umanità di tutti i tempi e luoghi si sia raffigurata l’idea di Dio in modi diversi: astri, luci, soli, animali, luoghi, monti, tuttavia essa nel pensiero umano è un concetto sempre uguale: Dio è l’essere perfettissimo per sé sussistente.
Questo è molto interessante, perché allora se l’idea fosse un’invenzione umana è chiaro dovrebbe essere diversa nei contenuti, nei popoli, nei tempi, e invece è diverso il «modo» di rappresentarla (=la religione), ma non il concetto (=l’oggetto di fede).
Gilson (L’ateismo difficile, 1986) segue questa linea, e in sintesi dice: posso aver visto migliaia di soli splendere, ma mai e poi mai questi potrebbero suggerirmi l’idea di Dio. Mentre è vero il contrario: se in me c’è l’idea di Dio, la vista anche di un solo sole mi viene incontro per aiutarmi a spiegare il concetto che ho in me di Dio.
E questo mi pare coerente con il fare umano: quando non troviamo parole per dire quello che pensiamo si ricorre a un esempio. Ma non il contrario. Infatti supponiamo che noi non soffrissimo la fame, potremmo vedere infiniti leoni mangiare, ma non ci potrebbe mai venire in mente la fame. Al contrario se noi abbiamo fame per poterla ben spiegare facciamo l’esempio: una fame da leone.
Santa Caterina da Siena pare che abbia visto il mare per la prima volta nel 1374, aveva 27 anni, ebbene stando alla riva e guardando questa grande e tranquilla distesa d’acqua, la prima cosa che le venne in mente fu di somigliarlo all’idea di Dio che aveva: mare pacioso! Non il mare le suggerì l’idea di Dio, ma il Dio, che dentro lei viveva, poteva esser somigliato al mare pacioso, che le si apriva davanti agli occhi. Se fosse il mare a generare l’idea di Dio nell’uomo, allora tutti gli uomini che stanno al mare dovrebbero credere, e quelli che non ci stanno dovrebbero essere atei, ecc. ecc.
A mio modesto avviso Gilson ha ragione. È la spiegazione più semplice e convincente, e quella più aderente alla realtà. Questo tuttavia non chiarisce come l’idea di Dio sia presente nel pensiero umano, e com’è che a questa idea gli diamo valore reale, mentre invece per esempio l’idea di chimera la stimiamo semplicemente una fantasia. Cartesio ritiene che l’idea di Dio sia una presenza assoluta e originaria, anche se non sappiamo come e perché ci sia. È difficile dargli torto. Sembra quasi che l’uomo nasca con questa «relazione al divino», come se Dio fosse un «proprium», un qualcosa della stessa natura umana. Indicazioni che non dimostrano né si dimostrano, ma suggestive, perché si capisce che toccano qualcosa di vero, anche se non riusciamo a razionalizzarlo.