È possibile «sanare» un matrimonio civile?
Ho sentito parlare della «sanatio in radice» come pratica che consente di convalidare dal punto di vista religioso un matrimonio civile anche senza sposarsi in chiesa. Come funziona?
Lettera firmata
La domanda del lettore rientra nel tema più ampio della cosiddetta convalidazione del matrimonio che include la «convalidazione semplice» (cann. 1156-1160) e la «sanazione in radice» (cann. 1161-1165). L’una o l’altra forma dipenderanno, a seconda dei casi, dalla causa della nullità, dal rinnovo o meno del consenso e dalla volontà di perseverare nella vita coniugale.
Il matrimonio canonico nasce dal consenso delle parti giuridicamente abili, in assenza di impedimenti dirimenti e di vizi del consenso, manifestato in forma legittima. Il consenso è naturalmente sufficiente quando è in grado di causare per se stesso il vincolo coniugale, ma è giuridicamente inefficace quando manca l’habilitas giuridica anche di uno solo dei nubendi – per esempio per la presenza di un impedimento dirimente non dispensato o non dispensabile – oppure a causa del difetto della forma prevista per la manifestazione del consenso. Quindi, perché il consenso matrimoniale possa dare vita al vincolo coniugale, è necessario che sia insieme naturalmente sufficiente ed efficace.
Di fronte alla nullità del vincolo si possono seguire tre strade: la dichiarazione di nullità del vincolo; la convalidazione semplice (canoni 1156-1160); la sanazione in radice (canoni 1161-1165). Questi due ultimi percorsi si seguono quando c’è la volontà di perseverare nella vita coniugale.
La convalidazione semplice ha sempre come peculiarità il rinnovo del consenso come nuovo atto di volontà e non come conferma di quello già dato, anche se mai revocato (can. 1157). Essa può costituire un rimedio per un matrimonio nullo dovuto a impedimento dirimente o a difetto del consenso. I canoni 1156-1159 stabiliscono in quale modo potrà essere rinnovato il consenso e se da una o entrambe le parti.
Il matrimonio nullo per vizio di forma, come nel caso dei matrimoni civili, è suscettibile di convalidazione semplice solo se viene contratto di nuovo nella forma canonica (can. 1160). Gli effetti della convalidazione semplice sono ex nunc, cioè dal momento in cui avviene il rinnovo del consenso.
Fatta questa premessa, entriamo nello specifico della sanazione in radice come possibilità di sanare anche i matrimoni celebrati con il solo rito civile, quindi in presenza di un vizio di forma. Occorre precisare che la forma della celebrazione canonica prescritta (canoni 1108 e ss.) deve essere osservata «se almeno una delle parti contraenti sia stata battezzata nella Chiesa cattolica o sia stata ricevuta da essa, salvo quanto prescritto dal can. 1127 §2» (can. 1117).
La sanazione in radice non richiede il rinnovo del consenso in quanto la nullità del matrimonio non deriva da un vizio del consenso, ma da un impedimento dirimente o da un vizio di forma. In altri termini il consenso manifestato dai nubendi è originariamente sufficiente, quindi integro, ma giuridicamente inefficace per la presenza di un impedimento o di un vizio di forma. Per questo si parla di «sanazione in radice» perché si scende fino al consenso, considerato la radice del matrimonio, per rimuovere quegli ostacoli che lo rendevano giuridicamente inefficace.
La sanazione in radice, che non prevede un intervento attivo dei coniugi con il rinnovo del consenso, è una grazia data dall’Autorità competente come atto amministrativo. Per grave causa tale concessione può essere fatta anche all’insaputa di una o di entrambe le parti (can. 1164), sempre che i coniugi vogliano perseverare nella vita coniugale (can. 1161 §3). Tanto per fare un esempio, un parroco si accorge che il matrimonio di due coniugi in procinto di celebrare le nozze d’oro è nullo per la presenza di un impedimento dirimente non dispensato a suo tempo, per es. l’età minima richiesta o la consanguineità tra cugini primi (consanguineità in linea obliqua di quarto grado), oppure per un vizio di forma nella celebrazione. La notizia potrebbe sconvolgere la vita degli anziani coniugi nel sapere che per cinquant’anni hanno vissuto, seppure in buona fede, una unione non valida. Per questo il parroco può ricorrere al Vescovo diocesano per chiedere la sanazione in radice all’insaputa dei coniugi ben sapendo che in loro permane la volontà di perseverare nella vita coniugale e che la notizia potrebbe arrecare grave turbamento (canoni 1164; 1161 §3).
Il presupposto per sanare in radice un matrimonio è che ci sia stato un consenso iniziale naturalmente sufficiente da entrambe le parti, che non sia stato revocato e che gli sposi vogliano perseverare nella vita coniugale. L’intervento dell’Autorità competente, Sede Apostolica o Vescovo diocesano, consiste in una concessione in forma graziosa della sanazione attraverso la dispensa dall’impedimento dirimente se esiste e se è dispensabile, e dalla forma canonica se non fu osservata.
Per quanto riguarda il matrimonio di coloro che sono obbligati alla forma canonica, ma hanno scelto un’altra forma pubblica, il can. 1160 non distingue tra difetto sostanziale e carenza totale di forma canonica. Ne deriva che anche coloro che sono tenuti alla forma canonica, ma hanno scelto il rito civile, hanno emesso un consenso naturalmente sufficiente e valido, ma giuridicamente inefficace. D’altra parte il matrimonio civile non è da paragonarsi a una convivenza more uxorio o al concubinato e non deve lasciar presumere a priori che il consenso sia viziato per simulazione o per esclusione del matrimonio così come Dio lo ha istituto nella creazione e la Chiesa lo celebra nel sacramento.
Nella sanazione in radice gli effetti che riguardano lo status canonico dei coniugi per una fictio iuris sono ex tunc, cioè vengono fatti risalire al momento in cui fu emesso il consenso coniugale naturalmente sufficiente (can. 1161 §1), mentre il vincolo matrimoniale sorge ex nunc, cioè al momento della concessione della grazia (can. 1161 §2). Sia per la convalidazione semplice che per la sanazione in radice il vincolo coniugale valido sorge ex nunc e pertanto anche la consumazione del matrimonio dovrà prendere in considerazione questo termine temporale.
La sola riscoperta della fede e il desiderio di sanare il proprio matrimonio non sono in sé sufficienti. Sarà invece necessario esaminare se esistano i presupposti per concedere la grazia della sanazione in radice, ovvero esaminare la forma legittima con cui fu emesso il consenso e se fu naturalmente sufficiente, cioè se la volontà dei nubendi era di celebrare un matrimonio che nella sostanza corrisponde a quello che la Chiesa insegna ai fedeli. Infatti, come abbiamo detto, nella sanazione in radice il consenso non viene rinnovato e l’intervento dell’Autorità competente non potrebbe in nessun modo supplirlo (can. 1057 §1).
Infine, di fronte alla convalidazione come due possibili strade da percorrere attraverso la convalidazione semplice e la sanazione in radice, spetterà ai pastori d’anime, ai Vescovi e alla Santa Sede l’opera di discernimento rispetto a una moltitudine di situazioni che si possono presentare.
Francesco Romano