È giusto battezzare i figli di genitori non sposati?
Recentemente, nella mia parrocchia, è stato battezzato il bambino di una coppia che conosco, e che so non essere sposata, neppure in Comune. La cosa, preciso, mi ha fatto comunque piacere, l’ho interpretato come il segno di un desiderio di fede che c’è almeno nel cuore di questi due ragazzi. Mi sono chiesta però a che titolo hanno potuto chiedere il Battesimo: il parroco mi ha risposto che in questi casi la Chiesa guarda più che altro al bene del bambino, e che quella educazione cristiana che i genitori non potranno dare, si spera possano darla il padrino e la madrina, o la comunità cristiana di cui questo bambino farà parte. Il ragionamento in generale torna, ma la cosa continua a suonarmi strana.
Maria Gori
Una pura convivenza fra uomo e donna non esprime il significato pieno dell’amore coniugale e si presenta in contrasto con la vocazione cristiana. Non sappiamo quali motivazioni siano alla base della convivenza della coppia, che, però, si è aperta all’accoglienza di un figlio, per il quale hanno chiesto il battesimo.
Come ogni sacramento, anche il battesimo è un puro dono gratuito di Dio: avviene nella pienezza della fede della chiesa, che, nella sua veste di Sposa di Cristo, invoca fiduciosa dal Padre il dono dello Spirito. Per il Rituale per il Battesimo dei Bambini «coloro che non sono in grado di avere né professare personalmente la fede sono battezzati nella fede della chiesa, professata dai genitori, dai padrini e dagli altri presenti al rito». La fede richiesta dal battesimo è come un seme che deve crescere e giungere a pienezza: nella partecipazione alla vita della comunità ecclesiale la fede cresce nella carità operosa.
Ritengo che il parroco abbia colto l’opportunità per un cammino di fede da offrire ai genitori del bambino. Avrà avuto un colloquio con la coppia, durante il quale non si sarà limitato a chiedere una ragionevole garanzia per la futura educazione cristiana del bambino. Si sarà fatto prossimo di questa famiglia, forse anche per guardare insieme se i due potranno scoprire in se stessi quelle motivazioni che li porteranno a vivere anche la loro unione secondo la vocazione battesimale.
La fede è vissuta sempre in una dimensione aperta e dinamica. La vita, la riflessione personale e il confronto con gli altri offrono nuove motivazioni, permettendo scelte più profonde, secondo il cammino personale di persona, coppia o famiglia. La carità pastorale, allora, non si esaurisce negli incontri che preparano il rito battesimale, ma si prende cura del tempo successivo. In questa prospettiva e rimanendo nell’ambito della questione posta, ogni comunità parrocchiale, guidata dai suoi pastori, dovrebbe sentirsi chiamata ad offrire ai genitori dei bambini battezzati la possibilità di proseguire il proprio cammino di fede.