Domenica, giorno di festa. Anche in Quaresima
Sono un fruitore di internet e leggo con interesse i vostri commenti teologici. Ho già chiesto a vari sacerdoti e anche al mio parroco alcuni chiarimenti in merito ai fioretti che si fanno in Quaresima. Ho avuto varie risposte, ma vorrei disturbare anche voi.
La domenica non si dovrebbero fare i fioretti, per le ragioni evidenti che sappiamo, visto che il Dies Dominicus è sempre ricordo gioioso della Resurrezione oltre a tutte le altre belle cose, che sappiamo e delle quali il mondo d’oggi ricorda troppo spesso solo il riposo e lo svago… È vero che una volta, fare i fioretti nelle domeniche di Quaresima, era addirittura considerato peccato grave? Mi potrebbe parlare più in dettaglio dell’argomento?
Sin dai primi secoli la comunità cristiana ha sentito l’esigenza di prepararsi bene alla grande festa annuale della Risurrezione del Signore, introducendo dapprima un digiuno di due giorni (il venerdì santo ed il sabato santo) e, successivamente, nel quarto secolo, un periodo di quaranta giorni per rivivere e commemorare il tempo trascorso da Gesù nel deserto prima dell’inizio della sua vita pubblica.
Il tempo di Quaresima nasce e trova tuttora il suo senso più autentico nell’aiutarci a vivere in pienezza il mistero salvifico del Signore Gesù, morto e risorto per noi. Non quindi un periodo di penitenza o di digiuno fini a se stessi, ma un’occasione di grazia per convertirci, per tornare al Signore con tutto il cuore, per accogliere il suo abbraccio misericordioso e sperimentare la sua salvezza.
Ora, come giustamente ha già detto lei, la domenica, essendo il giorno della Risurrezione, non si può digiunare o fare penitenza perché si vuole sottolineare la gioia per la nostra salvezza («Possono digiunare gli invitati alle nozze, quando lo sposo è con loro?» cfr Mc 2,19 e Lc 5,34). Sul divieto esplicito di fare «fioretti» nelle domeniche di Quaresima, abbiamo delle testimonianze precise a partire dal IV secolo: « digiunare in giorno di domenica è grande scandalo » scrive sant’Agostino, nel 396, a Casolano (Lettera 36,27) criticando questa prassi in uso da chi seguiva l’eresia manichea (indicazione peraltro riportata, nella sua sostanza, da tanti altri Padri della Chiesa).
Sempre del IV secolo abbiamo anche la Costituzione Ecclesiastica degli Apostoli, uno scritto con trattazioni morali e prescrizioni canoniche, che afferma espressamente: «Se un membro del clero in giorno di domenica sarà sorpreso a digiunare, venga deposto; se è un laico, venga escluso» (47,64). Si parla genericamente di domenica, ma tali indicazioni erano applicate anche nel periodo della Quaresima.
Del resto, già dal III secolo, proprio per ribadire la grandezza della Pasqua settimanale, abbiamo l’invito esplicito a non pregare in ginocchio, posizione che richiama un atteggiamento penitenziale, a non compiere azioni che «comportino ansia», e a non occuparsi del lavoro: «Nel solo giorno della risurrezione del Signore, secondo la nostra tradizione, dobbiamo non solo astenerci da questa pratica – si parla del piegare le ginocchia nella preghiera – ma anche da ogni atteggiamento che comporti ansia e dall’attendere alle nostre occupazioni, rimandando anche i nostri affari » (Tertulliano, De oratione, 23,2).
Si ha quindi una grande attenzione a celebrare degnamente la domenica evitando tutto ciò che può limitare il carattere gioioso della risurrezione di Cristo. Viviamo bene questi ultimi giorni che ci separano dalla Pasqua ponendo il massimo impegno nelle rinunce e nei nostri propositi penitenziali, ma salvaguardando lo spessore e la qualità festiva delle domeniche che abbiamo davanti.