Dallo «sheol» ebraico alle fiamme, com’è fatto l’inferno secondo la Bibbia
Cosa si intende nella Bibbia con la parola «inferno»? Ci sono delle differenze tra Antico e Nuovo Testamento?
Risponde don Francesco Carensi, docente di Sacra Scrittura
È lecito domandarci: ma l’inferno esiste, e in cosa consiste? La Bibbia ne rivela qualche dettaglio. Ora si deve tener conto che la mentalità biblica su questo tema (così come su molti altri ) subì un’evoluzione nel corso del tempo. All’inizio il popolo di Israele non si domandava cosa sarebbe avvenuto dopo la morte. Gli israeliti credevano semplicemente che dopo la morte tutti gli uomini buoni o cattivi, giusti o ingiusti si sarebbero trovati in una stanza buia e silenziosa chiamata sheol dove avrebbero condotto una vita fiacca e sonnolenta. Per esempio si legge nel libro dei Numeri (cap 16 ,28-30) «Core, Data e Abitam, uomini che si ribellarono a Mose, morirono e scesero nello Sheol». Anche il grande Giacobbe (Gen 37,35) e il famoso re Ezechia (Is 38,10) dopo la morte scendono nello sheol. Anche lo stesso Giobbe dice: «So bene che mi conduci alla morte, alla casa dove si riunisce ogni vivente» (Gb 30,23); dunque, non c’era differenza alcuna nel destino finale degli uomini. Tutti, buoni o cattivi che fossero, finivano nello stesso luogo, per vivere tutti la stessa esistenza, senza distinzione rispetto al bene o al male che ciascuno avesse compiuto. Lo stesso profeta Isaia dice «ti potrà lodare la polvere? Chi negli inferi canta le tue lodi?» (Is.38,18). Ecco che nella preghiera si chiede una salvezza terrena perché quando si attraversa la morte, nello sheol cioè negli inferi non c’è più speranza. Anche nei salmi si legge: «sono annoverato fra quelli che scendono nella fossa, sono come un uomo ormai privo di forza; è tra i morti il mio giaciglio, sono come gli uccisi stesi nel sepolcro, dei quali tu non conservi il ricordo e che la tua mano ha abbandonato. Mi hai gettato nella fossa profonda, nelle tenebre e nell’ombra di morte» (salmo 87,5-7). La morte dunque segna la fine di tutto, di ogni speranza. Con il passare dei secoli questa mentalità subisce un’evoluzione. Infatti un’uguaglianza di tutti, buoni e cattivi, dopo la morte non teneva conto della qualità della vita vissuta. Nel 200 avanti Cristo si smise di credere allo sheol come unica meta per buoni e cattivi. Con il tempo si cominciò a elaborare una visione più ampia che tenesse conto della vita vissuta sulla terra e a credere che nell’aldilà ci fossero due stanze diverse, una per i giusti e una per i peccatori. Il primo libro che inizia a delineare questa concezione dell’aldilà fu il libro di Daniele. Si legge: «Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni per la vita eterna e gli altri per la vergogna e l’infamia eterne» (12,2). Qui è la prima volta che la Bibbia parla di ciò che noi chiamiamo inferno come il luogo di infamia e di vergogna destinato a coloro che fanno il male. La seconda volta in cui si parla di inferno o luogo per punire i malvagi, la troviamo nel libro della Sapienza. «Gli empi per i loro pensieri riceveranno il castigo, essi che hanno disprezzato il giusto e si sono ribellati al Signore» (3,10). Sono i soli due testi in tutto l’Antico Testamento che parlano di luogo di punizione per coloro che fanno del male. Adesso vediamo il Nuovo Testamento. Gesù è venuto a portare la misericordia di Dio e la volontà di Dio che ogni uomo possa essere abbracciato dal suo perdono, non perdersi allontanandosi dal suo amore. In qualche insegnamento Gesù ammette la possibilità che esista una condanna eterna intesa come assenza di Dio dall’uomo nella sua condizione post mortem. Nel Vangelo troviamo quattro rappresentazioni per descrivere l’inferno: 1) il fuoco che non si spegne; 2) i vermi che non muoiono; 3) le tenebre eterne; 4) il pianto e lo stridore di denti. Iniziamo con la prima immagine: per esempio in Mt 5,22 si parla di «fuoco della geenna»; in Mt 25,42 «fuoco eterno», in Lc 16,25 «fiamma che tormenta». Il fuoco è l’immagine più adatta a formulare correttamente il dolore fisico che il nostro corpo prova con una scottatura. La possibilità di ardere eternamente nell’inferno rappresenta un castigo terribile. Interessante che nel mondo ebraico il fuoco più che essere associato al dolore fisico, viene riferito al luogo dove si bruciava la spazzatura (la geenna) e tutto ciò che non serviva più. Dire che qualcuno veniva bruciato equivaleva a dire che non serviva più. La seconda immagine che Gesù usa per riferirsi all’inferno è «verme che non muore». Si trova nel Vangelo in Matteo (per esempio 8,12). Cosa vuol dire? I «vermi che non muoiono» sottolineano la situazione dei condannati come quella di un cadavere decomposto o di un mucchio di immondizia inutile. La terza immagine identifica l’inferno come «tenebre esteriori». L’espressione si trova solo nel Vangelo di Matteo (25,30). Che significa questa espressione? Nell’Antico Testamento si identificava la salvezza come un banchetto eterno; chi rimaneva fuori da questa festa conviviale rimaneva fuori nella tenebra. L’inferno dunque era la mancata partecipazione alla festa finale, dove il defunto si poteva trovare dopo il giudizio di Dio. La quarta immagine che identifica l’inferno è «pianto e stridore di denti» (Lc13,28). Insieme al pianto lo stridore di denti indica la disperazione di coloro che rimangono esclusi dalla salvezza. Queste quattro immagini sono le uniche in tutto il Nuovo Testamento che descrivono l’inferno. Tuttavia come abbiamo visto questi simboli derivano da un linguaggio semitico e vogliono mostrare che la situazione futura dei condannati, cioè di coloro che hanno rifiutato Dio, sarà colma di dolore a causa della loro eterna esclusione dalla comunione con Dio; invece la salvezza eterna viene descritta in maniera altrettanto simbolica come quella della grande festa ove il banchetto abbonda di cibi deliziosi e di vini pregiati. La sacra scrittura dunque sebbene insegni l’esistenza dell’inferno non ha mai spiegato in cosa esso consiste; l’unica cosa che sappiamo è che l’inferno consiste nella non salvezza, nell’essere senza Dio. Mi piace concludere questa risposta con le parole di San Paolo: che il piano e la volontà di Dio è «che tutti gli uomini siano salvati» (1 Tm 2,4). Questa è la nostra speranza. E le immagini della Bibbia che indicano l’inferno devono essere rettamente interpretate, «Esse indicano la completa frustrazione e vacuità di una vita senza Dio. L’inferno dunque sta a indicare più che un luogo, la situazione in cui viene a trovarsi chi liberamente e definitivamente si allontana da Dio, sorgente di vita e di gioia» (san Giovanni Paolo II, udienza del 28 luglio 1999).