Dalla «pienezza del tempo» alla «pienezza dei tempi»
Cosa vuol dire «Gesù è venuto nella pienezza dei tempi»?
Piergiorgio Castellucci
Nella lettera ai Galati viene descritta la condizione dell’uomo prima e dopo la venuta del Cristo nel cuore della storia dell’umanità, confermata dal dono dello Spirito divino: appunto nella «pienezza del tempo» (al singolare!).
Paolo muove dall’idea della preparazione alla venuta di Cristo, tempo in cui la Legge mosaica è come un maestro. Per questo scrive: «per tutto il tempo che l’erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, benché sia padrone di tutto, ma dipende da tutori e amministratori fino al termine prestabilito dal padre. Così anche noi, quando eravamo fanciulli, eravamo schiavi degli elementi del mondo». Gli «elementi del mondo» sono quelle realtà che pretendono, attraverso la Legge, di mantenere il mondo sotto la loro tutela (Paolo le chiama anche «divinità che in realtà non lo sono»). E questo nonostante che il credente in Gesù sia stato crocifisso con lui e non ha più nulla a che fare con la Legge fatta di precetti senza numero (vedi Galati 2,19).
Paolo spiega dicendo che la lunga attesa dei tempi messianici è compiuta: «quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”. Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio».
Le chiese della Galazia sembravano volersi affrancare dalla nuova condizione cristiana così come Paolo l’aveva loro annunciata: Gesù è nato nella medesima condizione degli uomini, per riscattarli e renderli figli di Dio. A questo punto Paolo chiarisce il concetto prima espresso: «un tempo, per la vostra ignoranza di Dio, voi eravate sottomessi a divinità che in realtà non lo sono. Ora invece che avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti, come potete rivolgervi di nuovo a quei deboli e miserabili elementi, ai quali di nuovo come un tempo volete servire?». Una cosa simile verrà detta alla comunità di Efeso: «Ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo» (Efesini 2,12).
Nel Nuovo Testamento, proprio nella lettera agli Efesini, si trova anche l’espressione: «la pienezza dei tempi» (stavolta al plurale!). Questa indica il compimento del disegno di Dio nella storia: tutta la realtà creata trova il suo senso e la sua coesione profonda in rapporto a Cristo, costituito da Dio capo unico e universale. Così scrive Paolo: «In lui [Cristo], mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi con ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto per il governo della pienezza dei tempi: ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo» (Efesini 1,8-10).
Una terza espressione, il «compimento dei secoli», che diventa però la «pienezza dei tempi» nella traduzione italiana corrente, si trova nella lettera agli Ebrei: qui il suo autore parla dell’ingresso di Cristo nel santuario celeste, avvenuto una sola volta. Anche il sommo sacerdote entrava nel Santo dei Santi una volta all’anno, nel giorno di kippur, ma gli effetti sono completamente diversi: «Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire sé stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte. Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di sé stesso» (Ebrei 9,24-26).
L’idea che ne ricaviamo è la sostanziale distanza che il testo biblico mostra tra l’alleanza antica e quella nuova. La prima si dimostra incapace di raggiungere anche solo parzialmente con i suoi riti senza numero quello che Cristo ottiene una volta per tutte: la nuova alleanza. In conclusione, a Dio e alla sua sapienza è riservato il dominio della storia, non a quanti si sostituiscono (o vorrebbero sostituirsi) a lui. Lo dicono molto bene il libro del Siracide e quello della Sapienza: «Egli scruta l’abisso e il cuore, e penetra tutti i loro segreti. L’Altissimo conosce tutta la scienza e osserva i segni dei tempi, annunciando le cose passate e future e svelando le tracce di quelle nascoste. Nessun pensiero gli sfugge, neppure una parola gli è nascosta» (Siracide 42,18-20); «Se uno desidera anche un’esperienza molteplice, [la Sapienza divina] conosce le cose passate e intravede quelle future, conosce le sottigliezze dei discorsi e le soluzioni degli enigmi, comprende in anticipo segni e prodigi e anche le vicende dei tempi e delle epoche» (Sapienza 8,8).
Stefano Tarocchi