Creazione o evoluzione: come si conciliano Bibbia e scienza?
Nella risposta alla domanda sullo sviluppo della discendenza di Adamo ed Eva, in Toscana Oggi del 5 gennaio scorso, si sostiene che i primi capitoli del Genesi, dedicati alla creazione del mondo e dell’uomo, costituiscono una narrazione che intende comunicarci il «perché» dell’esistenza di tutte le cose e di tutte le creature, e non il «come» quell’esistenza si sia prodotta, compito quest’ultimo della scienza e della storia.
Allora, però, si pone un’altra domanda che interpella alla radice la riflessione teologica: Come si concilia il «mito» biblico della creazione con la consolidata acquisizione scientifica dell’evoluzione cosmica e umana?
Giuseppe Mandorli
Che sia una «consolidata acquisizione scientifica l’evoluzione cosmica e umana» è tutto da dimostrare, che ci sia una certa evoluzione è indubbio, ma che questa parola dica parecchio di più che non semplice trasformazione o sviluppo, è tutto da verificare. Che un seme diventi albero è evidente, ma che un minerale diventi vivente cioè che dalla non-vita scaturisca la vita… sarei curioso di vederla questa evoluzione.
Karl Popper dice che la scienza è di principio falsificabile, non falsificata ancora di fatto. In altri termini un dato assoluto, certo, consolidato, incontrovertibile, non è mai scientifico, ma solo momentaneamente non ancora falsificato, il che significa che non c’è scienza certa e sicura, ma solo buone teorie non ancora falsificate.
Perciò lascerei perdere le «consolidate acquisizioni», e teniamoci solo il fatto che la scienza è alla ricerca di tali origini, quando poi dirà qualcosa di più razionale e logico, la prenderemo in considerazione.
Il «mito» biblico della creazione dell’uomo e della donna e dello sviluppo dell’umanità, come aveva indicato Belli, si può paragonare a ciò che in logica si dice «definizione» di una cosa, che invece di farla con parole è fatta con un racconto. Gesù usa questa modalità con le parabole che sono l’esplicazione visiva, immaginifica, materiale di una realtà diversa ma che presenta il medesimo contenuto significativo. Per es. il Padre sta al figlio prodigo come Dio sta al peccatore; il cercatore di perle sta alla super perla come l’uomo cercator di salvezza sta al Cristo; il pescatore sta alla rete piena di pesci come la predicazione dell’apostolo sta all’umanità; il seminatore sta alla semina come il Cristo discente sta alla folla. Gesù in altri termini non definisce mai il Regno di Dio con parole e con concetti astratti, razionali o con logiche circonlocuzioni, ma usa esempi diretti e visivi, mostrando che tra la parabola e quanto vuol dire c’è una similitudine di significato che è apprensibile a chi sa capire. Dunque il mito della creazione dell’uomo che vuol dire? Nel primo racconto del capitolo 1° di Genesi sembra che il redattore voglia definire l’uomo per genere e differenza specifica, come fa la filosofia. Il genere è il mondo creato, al quale l’uomo appartiene, la differenza sta nel fatto che è un essere razionale e amato da Dio: l’uomo è «molto» buono. La filosofia fa così: il genere è ciò a cui l’oggetto appartiene, la differenza specifica distingue l’oggetto dalle altre cose a esso simili.
Nel secondo racconto sempre di Genesi, dal capitolo 2° in poi, sembra che il redattore voglia perfezionare la definizione cercando di esplicare cosa sia l’uomo in se stesso dandone una descrizione significativa, ossia dicendo anche perché è nel modo come noi siamo. Così ci dice che l’uomo è un essere perfetto e questa perfezione è comunicazione di se stesso, e perché possa comunicare lo «sdoppia» in maschio e femmina, spiegando qui perché c’è l’uomo e la donna, poi rivela il loro stato ideale quando nudi e senza vergogna vivevano nel paradiso (= felicità), ma a causa del peccato sortì l’opposizione e la vergogna. Inoltre il redattore ci vuol dire che l’uomo è un essere fecondo capace di riprodurre se stesso nei figli, e che i figli nascono con lo stesso problema dei genitori ossia nella lontananza da Dio, e che questa ribellione a Dio prosegue nelle generazioni successive, al punto che Dio scorcia la vita perché avevano troppo tempo per compiere il male, e diversifica le lingue perché non si coalizzi nel male. Così via, finché al capitolo 12° si parla di Abramo, l’amico di Dio, e si entra nella storia concreta. Come si vede il mito delle origini dell’uomo va fino a tutto il capitolo 11° con un linguaggio e un racconto verosimile e forse anche con qualche riferimento arcaico reale, ma il contenuto indica il senso essenziale, esistenziale e storico dell’uomo. Questo è l’uomo, ci vuol dire il redattore, che vale per tutti i tempi, luoghi e in qualsiasi modo possa essere venuto all’esistenza.
Per cui quello è l’uomo com’è in se stesso, nel ruolo che ha in questo mondo e nella sua esistenza storica, poi che sia nato qui o lì, da questo o da quello, staremo a vedere, ma il senso, la verità, ciò che l’uomo-umanità è, il redattore di Genesi ce l’ha descritto in quei capitoli. È un racconto che possiamo chiamarlo «trascendentale» rispetto alla storicità umana, nel senso che in qualsiasi momento si pensi l’uomo è e rimane sempre quello che il redattore di Genesi ci ha descritto: quello è l’uomo- verità, è l’umanità in sé e per sé che trascende ogni concreta realizzazione storica e temporale.
Insomma il mito della creazione è una lunga parabola nella quale si disvela il senso, il valore, la verità e la ragione d’essere dell’umanità, dell’uomo e della donna, della generazione e del male, della vita umana e della sua storia. Come ogni parabola ha agganci reali e verosimili, perché non è un racconto di fantascienza, ma l’intento principale è l’esplicazione di quanto c’è di più reale, concreto ed essenziale in noi stessi come singoli e come genere umano.
Athos Turchi