Cosa si può dire quando muore una persona giovane? La ricerca (difficile) di una spiegazione
Mi è capitato recentemente di partecipare a funerali di persone ancora giovani. Come si spiega la morte, per malattia, di una persona che potrebbe avere ancora tanti anni davanti? Non mi è facile guardare a questi fatti in una prospettiva di fedeLettera firmata
Risponde don Gianni Cioli, docente di Teologia morale
La domanda verte sul possibile senso, sul «perché?», in una prospettiva di fede, della morte di una persona giovane per malattia.Non è facile rispondere in poche righe a una domanda del genere senza evitare il rischio di risultare banali e riduttivi. La morte prematura, in effetti, è sempre stata una sfida per la sensibilità dell’uomo credente che concepisce la vita come un dono di Dio.Se la vita è un bene donato da Dio, che si è chiamati ad apprezzare e a valorizzare con amore e responsabilità, la morte dunque è un male che inevitabilmente si deve subire, nostro malgrado. Il fatto però che molti siano costretti a godere del bene della vita solo in misura molto inferiore rispetto ad altri, perché muoiono giovani, può apparire scandaloso (nel senso che può risultare di ostacolo alla fede) proprio a chi voglia guardare alla vita in una prospettiva di fede.Per chi crede in un Dio amorevole e provvidente appare infatti forse più difficile, rispetto a chi invece non crede, guardare alla malattia di un giovane, e alla sua morte, come a una pura tragica fatalità di fronte alla quale non ci si può che rassegnare, perché un senso non c’è. Di fronte alla morte di un giovane, chi non crede può essere solo triste, ma non, in fondo, scandalizzato. Chi crede cerca invece necessariamente, nella vita come nella morte, un senso. Sente il bisogno di trovare una chiave interpretativa che illumini il valore dell’esistenza e dia significato al suo limite, ed è, quindi, provato e provocato dallo scandalo della morte.Già il libro della Sapienza ha cercato di offrire una risposta allo scandalo della morte di un giovane, rammentandoci che le anime dei giusti che sono venuti a mancare, in realtà, «sono nelle mani di Dio» e che «nessun tormento li toccherà» (Sap 3,1), sottolineando, poi, che «il giusto, anche se muore prematuramente, si troverà in un luogo di riposo» (Sap 4,7).Nel Nuovo Testamento suonano, inoltre, particolarmente vibranti le puntualizzazioni di Paolo ai Tessalonicesi, riguardo alla risurrezione dei defunti. Da quanto afferma l’Apostolo si desume che, fra i primi cristiani, alcuni erano paradossalmente scandalizzati dall’esperienza della morte dei loro congiunti, proprio perché questa sembrava contraddire quella vittoria di Cristo sulla morte che era stata loro annunciata: «Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza – afferma infatti Paolo – a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti» (1Ts 4,13-14).In questi passi della Scrittura si coglie l’intento di superare lo scandalo della morte, in particolare della morte prematura, lasciando intendere che, se certo è un bene eminente, la vita terrena è comunque un bene relativo rispetto al bene della vita eterna. Il valore della vita terrena non si misura in termini di durata, ma in termini d’intensità, in funzione della vita definitiva e della felicità perfetta, che l’esistenza temporale è chiamata a preparare.Inoltre, se può essere effettivamente difficile guardare, in una prospettiva di fede, alla morte per malattia, di una persona che avrebbe potuto avere ancora tanti anni davanti, proprio la fede nel Padre del Signore Gesù, il Dio amorevole e provvidente, ci spinge a credere che, se Lui le ha permesse, proprio quella malattia e quella morte dovranno avere pure un senso (in funzione del bene definitivo che è la vita eterna), anche se questo senso ci sfugge, o lo percepiamo annebbiato, «come in un antico specchio» (1Cor 3,12).