Cosa intende la Chiesa per «castità matrimoniale»?
Cosa intende la Chiesa quando parla di «castità matrimoniale»? È giusta la scelta di una coppia di sposi che, dopo aver soddisfatto le esigenze di procreazione responsabile, decide di astenersi per sempre dai rapporti sessuali? Non viene, così, tagliata una parte importante della loro unione?
Lettera firmata
Ci sono due termini che stanno così vicini da sembrare persino intercambiabili: castità e astinenza. Isidoro, eruditissimo vescovo di Siviglia nel VII secolo, scrive nella sua enciclopedia che la parola «casto» è connessa con «castrazione» e conferma con autorevolezza l’idea che si possa dire casto in senso stretto chi non esercita la sessualità e si fa «eunuco per il Regno» (Mt 19,12 ).
Può accadere che una coppia, soprattutto dopo che ha avuto figli, avverta l’ispirazione a sviluppare un linguaggio di intimità coniugale sciolto dalle sue espressioni corporee e decida di comune accordo di astenersi dagli atti sessuali per un certo tempo o per sempre, come ipotizza il nostro Lettore. Questa situazione è presa in considerazione già da san Paolo nella Prima lettera ai Corinzi. Paolo ritiene senza dubbio che la situazione di chi non è sposato sia più atta a concentrarsi sull’attesa del ritorno imminente del Signore, ma dà consigli molto saggi agli sposi che ritenessero di astenersi dalla vita sessuale: farlo di comune accordo, per dedicarsi a preghiera più intensa e per un tempo limitato (Cfr. I Cor 7, 5).
Tenendo presenti questi orientamenti ispirati a grande saggezza ed equilibrio pastorale, non si può escludere che una coppia cristiana possa sentirsi chiamata a vivere una comunione coniugale che, senza disprezzare la preziosità del linguaggio del corpo, sviluppa un linguaggio dell’amore più spirituale, ma altrettanto intimo. Se sostenuta da motivazioni rette, sane e condivise, questa astinenza dalla genitalità non danneggia il matrimonio né l’intesa coniugale ma può rappresentarne una fase nuova e ulteriore.
p. Maurizio Faggioni