Cosa ci insegna la parabola del grano e della zizzania?
Non spetta all'uomo separare il bene dal male, ma a Dio.
Nel Vangelo di Matteo troviamo il racconto della parabola del grano buono e della zizzania che conosciamo bene. Il racconto ci dice che il grano buono e la zizzania dovevano crescere insieme e poi venire separati successivamente. Il succo focale che ci lascia questa parabola è che la zizzania stando col grano buono può convertirsi al bene e a Dio prima che arrivi il giudizio finale?
Risponde don Francesco Carensi, docente di Sacra Scrittura
La parabola della zizzania e del grano buono è un’occasione per riflettere sulla presenza del grano buono che il seminatore semina.
Il testo dice: «Il regno dei cieli è simile al seminatore che ha seminato del buon seme nel suo campo». (Matteo 13,37-43). Quel «buono», apparentemente superfluo, prepara la sorpresa che segue: «Di notte è venuto il nemico del seminatore e ha seminato semi di zizzania in mezzo al grano». La zizzania, il loglio infestante in mezzo al grano, è una graminacea diffusa in tutto l’Oriente ed è considerata una degenerazione del frumento. La zizzania può essere distinta dal grano non solo quando è giunta a maturazione, ma anche durante la fase della crescita, a motivo delle sue foglioline strette. La sua velenosità deriva da un fungo che spesso l’infesta.
Quando il grano cresce e si avvicina alla maturazione, anche la zizzania diventa visibile. Compaiono sulla scena alcuni servi che porgono al contadino la domanda se non avesse seminato semente buona e, quindi, da dove venisse mai la zizzania. La domanda è inutile tanto che i servi non chiedono informazioni sulla grande quantità insolita dell’infestante: infatti nessuno si meraviglia se in un campo di grano spunta anche l’inevitabile zizzania.
Ancora più sorprendente è la risposta del padrone: evidentemente egli sa che ciò è opera di un nemico malvagio. Quale nemico avrebbe potuto pensare un atto simile, e avere pronta una tale quantità di semi di zizzania da poter venire dal cuore della notte e seminarla? Piuttosto sarebbe potuto venire di nascosto, nella notte, a tagliare il grano maturo o a incendiare il campo. È ragionevole la proposta dei servi di strappare via la zizzania, perché questa sarebbe stata la prassi normale. Ma il padrone non vuole che si faccia così, per evitare che insieme alla zizzania si sradichi anche il grano. La parabola non vuole descrivere la prassi agricola normale, come si vedrà alla fine, quando i mietitori, e non i servi che hanno posto la domanda, raccoglieranno prima la zizzania, la legheranno in fascine e la bruceranno. Il procedimento normale è proprio l’inverso: la zizzania rimasta tra il grano dopo l’estirpazione viene lasciata in terra dai mietitori e in seguito raccolta, usata come mangime oppure bruciata. Una prassi agricola tutta particolare. E dalle metafore usate dalla parabola possiamo capire il significato del testo.
Innanzitutto la zizzania rappresenta il male presente nel mondo, un male già sconfitto dalla morte e risurrezione di Cristo ma che agisce seppur depotenziato insieme al grano buono. Non esiste a livello esistenziale una netta divisione tra buoni e cattivi perché un po’ di male c’è in tutti, come la zizzania tra il grano buono. Sarà alla fine compito del Signore mettere in luce i segreti dei cuori. E rivelerà le vere intenzioni di ogni uomo. In fondo anche quando siamo spinti dalle migliori intenzioni nel fare il bene c’è sempre un barlume di zizzania che può inquinare ogni buona disposizione. La spiegazione Matteana della parabola mira alla Chiesa, ma non la definisce come uno spazio separato dal mondo, nel quale ancora vivono provvisoriamente bene e male, ma l’intende dinamicamente come comunità che pratica e proclama la Parola di Gesù. La Chiesa è la destinataria dell’ammonimento di Matteo.
Quando Gesù entra in casa spiega la parabola, mette in guardia i discepoli che devono stare attenti a non far parte degli scandali e degli operatori di iniquità che si trovano dentro e fuori la comunità.
Dunque il male non può essere accettato ma le conseguenze che produce negli uomini sono sanate dall’amore di Dio che usa pazienza e illumina anche le zone più oscure della vita dell’uomo dove si può nascondere un po’ di zizzania. La pazienza aiuta il discepolo a prendere consapevolezza che nessuno è esente dal fare il male.
Per rispondere al nostro lettore la zizzania non si può convertire al bene ma il grano buono che è nell’uomo può crescere nonostante questa presenza nella sua vita. E non sta a lui operare questa separazione cioè questo giudizio ma al padrone cioè al Signore. A noi il compito di non assecondare il male («non lasciarti vincere dal male ma vinci il male con il bene» Rom 12,21).
Per conlcudere si può dire che l’intransigenza, il cercare la purezza a tutti i costi, la rigidità di volere una comunità composta tutta di giusti è pericolosa, perché i confini tra bene e male, tra giustizia e ingiustizia a volte non sono così netti. Questa parabola è un ammonimento sul nostro stile di vita ecclesiale, chiedendo quella pazienza che sa rinviare un atto legittimo anche da parte di chi ne è competente, come i mietitori, e rinviarlo all’ora che non ci appartiene, quella del giudizio. Sì, per i credenti ci sono tentazioni al male proprio quando «vedono» il bene: intolleranza, partigianeria, integralismi, militanza contro… È la tentazione del catarismo: solo puri.