Come spiegare l’esistenza di Dio?
Sono sempre stata molto affezionata alla Chiesa, e ho sempre partecipato con piacere a preghiere e funzioni religiose, senza farmi troppe domande. Adesso mia figlia, che ha studiato più di me, mi critica dicendo che la fede in Dio è solo un modo per soddisfare un bisogno di consolazione, e che invece la scienza può spiegare molto meglio le cose senza bisogno di Dio. Cosa posso risponderle? Io continuo a pensare che il mondo non può essere nato per caso, e che Qualcuno che ci ha creato e che ci guarda e ci vuole bene ci deve essere per forza, ma non riesco a spiegare meglio ciò che penso.
Innanzi tutto è bene distinguere due livelli di discussione: dove non si sente ragioni, e dove si accetta di ragionare. Se il nostro interlocutore posto di fronte al sole ritiene di non vedere che buio, lasciamo perdere le discussioni, non si approderà a niente. Nel caso contrario, possiamo provare a discutere. La fede è una particolare sensibilità al significato delle correlazioni tra le cose e se stessi che si stabiliscono in un luogo che si chiama «mondo», e dove ciascuno di noi vive. Intuizione che induce immediatamente a cogliere il valore della propria persona che cozza col tipo di esistenza mortale, che vive nel mondo, e tale non senso viene compensato e sanato solo dalla presenza di Dio creatore e provvidente. Ecco il nocciolo del problema. Il mondo che viviamo ha un senso o no? Se non ha senso come dice la scienza, in effetti Dio non serve.
Faccio un esempio: Tizio è violinista, è per strada, cade un vaso di fiori, e gli rompe irrimedibilmente la mano. A Tizio gli crolla il mondo addosso, la vita non ha più senso, si chiede perché gli è accaduto quel dolore e quella pena. Per la scienza tutto ciò è: un oggetto contundente mobile per la legge della gravità cade sopra un ente vivente, detto uomo, che in ragione della sua corporeità subisce un trauma osseo, guaribile in 30 giorni. Il dramma di Tizio la scienza non lo vede e non gli interessa, perché quel dramma è un fatto privato, e suppone un ragionamento non sperimentale ma sintentico che solo uno spirito può fare.
La scienza spiega come le cose avvengono, ma ritiene che non abbiano senso: accadono, ma non per qualche significato ulteriore. La lettrice deve portare la figlia a considerare il mondo e la vita da un punto di vista superiore, dove abita l’uomo: se l’uomo ha valore, se ha una dignità, se ha diritto a dare un senso alla propria esistenza, allora queste cose richiedono un senso da attuare nel mondo, che è poi da giustificare in rapporto alla morte, l’odio, il dolore, il disprezzo, angoscie, paure, ecc. cose nelle quali s’incorre continuamente.
Che senso ha la vita umana e che senso le si può dare se non esiste alcun significato nel mondo? «La stessa cosa, in fondo, è ubriacarsi in solitudine o guidare i popoli» dice Sartre. Dunque perché affannarsi a vivere una vita piuttosto che un’altra? Di più: se non esistesse alcun senso, come faremmo a sapere che non esiste senso alcuno? per dirlo necessito di sapere di un qualche senso. Quante domande! Il fatto che l’uomo, anzi io stesso mi pongo tutte queste domande, significa che non sono un pezzo dell’evoluzione materiale alla quale mi vorrebbe ridurre la scienza, sennò mi muoverei come un vegetale. Se invece giudico e manipolo il mondo materiale, significa che non ne faccio completamente parte, anzi ne sono differente, infatti lo giudico. E allora perché ci sono, qual’è il mio ruolo, quale il mio compito?
La scienza mi dice come sono nato, ma non perché sono nato, perché in Italia, perché ora e non prima e non dopo? E a queste domande chi può rispondere? I genitori? Supponiamo che uno sia nato perché era andata via la luce: sarebbe non un caso, ma uno scherzo. Come si può pensare di vivere lo scacco, l’inutilità, il naufragio della vita (come dicono gli esistenzialisti) solo perché i genitori non sapevano che fare?! Così passiamo quasi tutta la vita a cercar di dare un senso alla nostra esistenza, e la morte ci dice che non abbiamo senso alcuno, come afferma Emanuele Severino: chi viene dal nulla e va al nulla è niente. Ma per quale colpo di pazzia saremmo così masochisti da intestardirci a cercare un senso al nostro vivere, quando sarebbe evidente (secondo gli scienziati) che non vi è alcun senso? In altri termini, tutta la storia umana dove gli uomini si sono scannati nelle forme più atroci in ragione di tante religioni, ideologie, valori, per la scienza lo avrebbero fatto tanto per passare il tempo, per ingannare l’attesa di morire. Si può discutere sulle religioni e ideologie, ma che l’uomo non abbia valore e dignità alcuna e sia un animale un po’ più evoluto e basta, a me pare una concezione per soli ottusi di mente. E se la scienza, insistendo solo su ciò che è sperimentale, non vuol dare alcun senso alla storia e alla vita personale di ogni uomo, mi sembra che travalichi il suo compito di ricerca fisica e materiale, e si arroghi il diritto di porsi anch’essa come una forma di «religione».
E Dio? Di fronte allo smacco e al fallimento verso i quali la morte getta ogni vita umana in qualsiasi modo una persona abbia vissuto, direbbe Heidegger «Solo un Dio ci può salvare». Dio emerge contro il naufragio al quale sarebbe votato l’impegno e l’essere della persona umana. Ma Dio non è solo il salvagente: Gesù Cristo c’insegna un Padre che, impegnato direttamente nella storia umana, cerca di bonificare, di valorizzare e elevare l’uomo dallo stato di abbrutimento, nel quale si dibatte, affinché riacquisti la sua dignità di soggetto, di essere umano spirituale, addirittura di «figlio» di Dio a sua immagine e somiglianza, e viva di conseguenza un’esistenza piena, sensata, benefica, degna. Questo è il grande valore dell’essere umano verso il quale Dio e noi dobbiamo essere sensibili, valore e dignità che gli strumenti della scienza non vedono, ma che ogni persona di buon senso capisce proprio all’interno dei marosi della vita. Dio è colui che è a salvaguardia della dignità di ogni uomo: si potrà non vedere questa fondamentale relazione, ma il contrario fa dell’uomo un bruto non senso, e anche questa in fin dei conti è una «fede», anche se di solo non senso.