Come si spiega la differenza tra Antico e Nuovo Testamento?
Sto leggendo il libro dell’Esodo. Dal capitolo 20 si inizia a parlare della legge. Si inizia con il decalogo e poi a seguire tutte le norme relative alla vita della comunità. Ci sono molti punti estremamente violenti, uno su tutti la legge del taglione. Mi risulta molto difficile pensare che Dio abbia dato il comando di uccidere; mi risulta più facile credere che la legge sia l’interpretazione umana della volonta di Dio. Se per esempio sotto ispirazione Mosè abbia ricevuto l’ordine di eliminare la malvagità lui l’abbia interpretata con mettere a morte il malvagio. Infatti poi Gesù dirà «avete udito che fu detto», «ma io vi dico». Questa frase lascerebbe intendere che i padri avessero inteso non proprio correttamente la volontà di Dio. Oppure bisogna credere che al tempo della legge sia stato lecito uccidere e al tempo di Gesù non sia stato più lecito perche l’uomo era progredito e diventato meno violento?
Marco Porfiri
Mi pare che l’idea avanzata dal lettore trovi autorevole conferma in un testo di introduzione alla Scrittura ormai classico: La Bibbia come Parola di Dio di Valerio Mannucci, famoso biblista fiorentino, venuto purtroppo a mancare alcuni anni fa. Affrontando la problematica questione dello herem, lo sterminio sacro comandato in nome di Dio, Mannucci afferma che «si può distinguere tra “volontà-comando” di Dio e “interpretazione umana” contingente e temporanea del volere e del comando divini. L’idea religiosa che ispira l’interdetto è il dovere da parte d’Israele di restare fedele a Jahvè e alla sua alleanza, quindi di evitare ogni pericolo di contaminazione idolatrica ( ). Ma le misure prese, cioè lo herem in concreto, sono quelle che i costumi del tempo dettavano; esse costituirebbero l’inevitabile (allora) interpretazione umana e contingente dell’imperativo divino contro l’idolatria» (V. Mannucci, La Bibbia come Parola di Dio. Introduzione generale alla Sacra Scrittura, Brescia 2007).
La distinzione può essere adeguatamente fondata sul presupposto teologico che, «dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta, per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogia della fede» (Dei Verbum 12).
La verità teologica dei singoli testi dell’Antico Testamento non avrebbe dunque un carattere definitivo ma andrebbe compresa alla luce della totalità del messaggio biblico: «La rivelazione della legge di perfezione è venuta soltanto con Gesù Cristo, e con essa il dono dello Spirito che permette all’uomo di osservare i comandamenti». Così la teologia biblica deve essere intesa come una scienza «storica per natura: essa deve seguire lo sviluppo delle idee e degli argomenti da un capo all’altro dei due Testamenti per assicurare le basi della dogmatica e della morale cristiana» (P. Grelot, La Bibbia e la teologia, Roma 1969, 120).
Come il lettore ha giustamente evidenziato, la novità evangelica emerge in particolare nelle cosiddette «antitesi» riportate dal Vangelo di Matteo nel discorso della montagna (Mt 5,20-47). Qui Gesù presenta le esigenze della nuova alleanza e porta a compimento la legge antica in un duplice modo: da una parte mostra di voler condurre alle estreme conseguenze le esigenze in essa insite, radicalizzandole e chiedendone un’autentica interiorizzazione («Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. [ ] Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore»); dall’altra, dichiara piuttosto di mettere in questione i fondamenti della legge stessa, quale baluardo e roccaforte contro il male presente nella storia ed esperito come permanente minaccia alla santità della comunità degli eletti («Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra [ ]. Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti»).
Si deve riconoscere che l’uso della violenza contro la violenza, in una storia segnata dalla conflittualità a motivo del peccato, nel caso della legge del taglione come in altri casi ha potuto avere una ragione, non foss’altro quale argine a faide senza fine. Gesù, però, rivelando il volto autentico di Dio, padre misericordioso, e chiamando i discepoli alla sequela prospetta la possibilità di un’alternativa: vincere il male con il bene (cf. Rm 12,21). È questa la testimonianza che ancora oggi il Signore affida a cristiani per la vita del mondo: una sfida il cui esito, come insegna la storia, non è mai scontato e che ci chiama permanentemente alla conversione (cf. K. Demmer, Interpretare e agire. Fondamenti della morale cristiana, Cinisello Balsamo 1989).