Come può il Verbo, incarnandosi, restare nella Trinità?
Dio è l’Essere perfettissimo che in sè non ammette limiti e contraddizioni in se stesso. Nell’Incarnazione il Verbo si fa carne e quindi si umanizza. Il Verbo, mi chiedo, come può senza contraddizione, rimanere nella Trinità pur essendosi incarnato?
N.S.
Perché non possono separarsi, e dunque porsi come tre individui autonomi, o tre Dei? Perché, dice S.Agostino, li lega l’atto eterno: il Padre genera eternamente il Figlio, e il Figlio è eternamente generato dal Padre, perciò non possono dissociarsi, come la madre invece fa col figlio. Questo spiega come le tre persone siano «immanenti» alla natura di Dio, formino un’unica realtà, sebbene siano tre persone distinte tra loro.
Non sto qui a ripercorrere le ragioni per cui il Figlio è stato anche chiamato il Verbo, come si legge nel Prologo del Vangelo di Giovanni, ma dire il Figlio o il Verbo di Dio è la stessa cosa.
La dottrina della Chiesa insegna che quando si dice che il Verbo o il Figlio si fece carne, ossia divenne uomo, in realtà non è che le seconda persona della Trinità, lascia la casa trinitaria per andare ad abitare il mondo umano. Questo sarebbe contraddittorio, in quanto Dio non muta, non si sposta, non si trasforma. Bensì con maggior precisione si dice: il Figlio «assunse» la natura umana grazie alla partecipazione di Maria. Sempre il catechismo ci dice che il Cristo aveva due nature, una divina e una umana, unite in una sola persona, quella divina. Gesù Cristo, in altri termini, sebbene avesse due nature, non aveva, come qualsiasi uomo ha, una persona umana. Questo è il vero intrigo razionale che presenta il caso Gesù: come può darsi che un unico e individuo essere, come è stato Gesù, potesse avere due nature e una sola persona, quella divina?
Comunque si risponda questo ci dice che il Verbo o il Figlio, non ha mai «lasciato» il cuore della Trinità, e mai lo potrebbe perché è generato eternamente dal Padre. Nello stesso tempo però nella sua persona di Figlio ha assunto una natura umana, «si fece carne» (uomo concreto), la quale non poteva porsi autonoma e dissociata dal Verbo perché mancante di persona propria, di persona umana, per cui con il Figlio-Verbo «la carne» forma un unico essere, un unico uomo, chiamato Gesù, individuato però dalla persona divina, nella quale le due nature stanno unite. L’episodio della trasfigurazione è emblematico: lì Gesù mostra il suo vero essere, la natura umana brilla di luce divina della persona del Verbo.
Si capisce che a parlare di queste cose siamo su carboni ardenti, sia per il pensiero sia per l’immaginazione, però anche se non riusciamo a spiegare esattamente come stiano le cose, tuttavia i discorsi non sono contraddittori, e questo è già un passo importante.
Il nocciolo della questione sollevata dal lettore è dunque non nell’Incarnazione, ma nel termine «assunzione» con il quale si indica il fatto che il Figlio prende nel suo essere divino, nella sua persona divina, una natura umana, ma dato che la Trinità non sta più nei cieli quanto non stia nella terra, è evidente che l’assunzione avviene all’interno della storia umana. Per questo si può dire senza contraddirsi, sia che Dio si fece uomo, sia che Dio assunse una natura umana, e così si può dire che il Verbo si fece carne, come si può dire che il Verbo fece partecipe di sé una carne, cioè un essere umano.
La contraddizione emergerebbe solo in una visione antropomorfica di Dio, che pensi Dio abitare una zona diversa dalla nostra, e dovesse lasciare un posto per trasferirsi in un altro. Ma questo evidentemente è falso e fantasioso.