Come essere cristiani in un mondo che sembra esserlo sempre meno?
Sono un giovane studente universitario di filosofia a Firenze. Ho combattuto anni al liceo e combatto tutt’ora per affermarmi negli ambienti giovanili come «ragazzo credente cattolico». Appena mi presento così vengo ghettizzato o deriso, in facoltà anche ferocemente attaccato. Non essendo un teologo mi difendo come posso, ovviamente mi è difficile giustificare il mio credo attraverso ragionamenti razionali. Durante gli anni del liceo ho tentato invano, con colloqui o referendum, di rimettere il crocifisso in classe. Visto che se ne parla tanto anche sui quotidiani mi potete spiegare dove nasce tutto questo odio verso chi crede e soprattutto se è giusto ripudiare un segno di amore come il crocifisso negli atenei del sapere? E cosa potrebbe fare la Chiesa per riconquistare i giovani e riaffermare la fede cattolica nella società?
Leonardo Grifoni
Le domande che Leonardo rivolge alla nostra rubrica, possono essere ricondotte ad un’unica questione: come si può essere cristiani in un mondo che sembra esserlo sempre meno? Proverò a dare delle coordinate per poter rispondere a questa sollecitazione.
Una prima coordinata è: riconoscere l’importanza della testimonianza di vita del cristiano. Sembrerà forse un’affermazione scontata, ma si deve ricordare che la fede si diffonde innanzitutto per attrazione. Vale a dire che essa non è solo una serie di informazioni, ma principalmente consiste nel fascino della persona di Gesù. Dunque, spetta al cristiano rendere visibile e presente questa bellezza attraverso la propria vita. Con un’immagine semplice possiamo dire che il cristiano è come un vetro che dovrebbe lasciar passare la luce della salvezza del Signore: più il vetro che siamo noi è opaco, più difficilmente la luce della salvezza potrà passare attraverso di noi. Proprio la testimonianza potrebbe far recuperare il senso autentico del Crocifisso, che mille ideologie dei nostri tempi hanno cercato e cercano di allontanare dallo spazio pubblico.
Una seconda coordinata da considerare è: non sorprendersi che la stessa testimonianza cristiana possa talvolta essere rifiutata. Anche la testimonianza più autentica e quella più bella possono trovare ostacoli tra gli uomini: la derisione e la ghettizzazione di cui parla Leonardo, rientrano in questo ambito. In fondo, se ci pensiamo bene, la stessa vita di Gesù mostra come più cresce la sua missione di salvezza, più crescono i sospetti contro di lui, le accuse, i tradimenti, le violenze… fino a giungere alla morte. E chi mai potrà dire d’esser capace di dare una testimonianza più grande e più bella d’amore e di verità di quella di Gesù?
C’è infine una terza coordinata: la testimonianza che passa attraverso la prova, richiama alla necessità della pazienza. La pazienza è una virtù riconducibile alla fortezza: di fronte alle avversità la pazienza rende capaci di resistere con forza e a non cedere. A ben vedere, però, quando la pazienza si esercita nei confronti del prossimo (e non solo nei riguardi di situazioni difficili della nostra vita), essa prende qualcosa anche dalle virtù teologali della speranza e della carità. Dalla carità prende l’amore forte e deciso per il prossimo, anche quando questo risulta il nostro nemico. Dalla speranza prende la capacità ferma di attendere: attendere che il Signore converta i cuori e faccia riconoscere l’autenticità della nostra testimonianza.
Leonardo dice di non esser teologo. E chi scrive presume di esserlo… (ma il teologo dovrebbe sapere che la presunzione è un peccato!). Ma se un ragazzo come Leonardo proverà a collocare la propria vita di cristiano dentro a queste coordinate che ho provato a tracciare, in fondo potrà adempiere al più grande dei compiti che viene richiesto al teologo: «[siate] pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,14).
Francesco Vermigli