Come è nata la divisione con la Chiesa anglicana?
Mi hanno sempre raccontato che la separazione della Chiesa d’Inghilterra è nata dal desiderio di divorzio del re. Ma oggi le differenze teologiche e dottrinali sono profonde. Mi potete raccontare in breve come è iniziata e proseguita la separazione e le differenze oggi esistenti con la Chiesa di Roma?
Massimo Volpe
Cercherò di rispondere alla domanda limitandomi all’evoluzione della riforma protestante in Inghilterra nel XVI secolo, a seguito dello scisma voluto dal re Enrico VIII. Alla base del problema stanno le vicende relative alla giovane dinastia Tudor, che aveva avuto origine con Enrico VII (1457-1509) e che si reggeva su basi molto fragili di consenso e di prestigio. È quindi comprensibile come la continuità dinastica fosse un fine primario da perseguire con forza e decisione da parte del successore, Enrico VIII (1491-1547), un sovrano molto diverso da quello che una certa tradizione pseudo-storiografica, sfociata poi in prodotti cinematografici e serie televisive di successo, ha cercato di rappresentare.
Quando scoppiò la riforma luterana, Enrico dimostrò immediatamente un atteggiamento di condanna nei confronti del protestantesimo e tale sua posizione «cattolica» sui principi dottrinali rimarrà costante per tutta la sua vita.
Nello stesso tempo, però, a partire dal 1527, egli non fu per nulla turbato quando, per voler annullare il suo matrimonio con Caterina d’Aragona (che non gli aveva dato un figlio maschio) e così sposare Anna Bolena, dette il via allo scisma con Roma. A questo proposito per Enrico «lo scisma valeva bene la continuità dinastica». Impossibilitato a ricevere l’annullamento del matrimonio da papa Clemente VII (a dire il vero molto oscillante nella difficile gestione del caso), Enrico VIII ruppe definitivamente con Roma attraverso l’Atto di Supremazia (1534) nel quale egli si proclamava capo supremo (head) della Chiesa d’Inghilterra rifiutando il primato del papa.
Ciò significava, nel concreto, un pieno controllo dell’autorità regia sulle cose della religione.
Alla sottomissione dell’episcopato e alla nomina del primate (l’arcivescovo di Canterbury), si aggiunsero le spoliazioni e l’incameramento dei beni ecclesiastici (soprattutto monastici) che andarono a rimpinguare le casse dello stato attraverso la vendita ai privati.
Alla morte di Enrico (1547) sia la situazione confessionale, sia anche quella politico – dinastica apparivano comunque tremendamente incerte. Con il successore, Edoardo VI (1537 – 1553), unico maschio avuto da Enrico VIII in sei matrimoni, o almeno l’unico sopravvissuto, si può dire tuttavia che la riforma protestante cominciò ad attecchire con un buon margine di sicurezza e fu effettivamente in questo periodo che avvenne la massima «protestantizzazione» dell’Inghilterra.
Se si considerano i testi dottrinali e liturgici, non si può fare a meno di notare come l’introduzione della confessione riformata sia avvenuta in modo graduale.
Se si prende ad esempio il Book of Common Prayer (il testo ufficiale di preghiera per tutti) tale processo appare più che evidente. La prima edizione (1549) esprimeva una dottrina volutamente ambigua, quasi di compromesso fra cattolicesimo e protestantesimo: la stessa presenza reale nell’eucarestia era trattata in modo tale da essere compresa sia dai luterani sia dai cattolici.
La seconda edizione (1552), invece, si mosse su un piano decisamente riformato e di rottura: non solo la messa divenne «servizio di comunione», ma sparì la presenza reale e si andò così verso una concezione addirittura zwingliana dell’eucaristia («Prendi e mangia [o bevi], questo è il ricordo che Cristo morì per te, e alimentati di lui nel tuo cuore con rendimento di grazie»).
La mutazione è impressionante e corrisponde all’evoluzione del pensiero teologico dell’arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer, uno dei protagonisti del consolidamento della riforma protestante in Inghilterra.
Nel 1553 Edoardo VI, il giovane e malaticcio sovrano morì e gli successe Maria Tudor (1516-1558), figlia di Enrico VIII e Caterina d’Aragona. Maria tentò invano di reintrodurre il cattolicesimo in Inghilterra e lo fece con durezza ma i suoi sforzi risultarono vani. La società inglese, almeno in quegli strati sociali più dinamici ed in ascesa, aveva ormai abbracciato la riforma protestante. Cosicché con Elisabetta I (1533 – 1603), il protestantesimo fu definitivamente «istituzionalizzato» in una Chiesa di stato. Va detto che, sul piano religioso Elisabetta fu sempre assai conservatrice, anche se le sue convinzioni religiose rimangono in gran parte misteriose. Uno dei primi suoi obiettivi fu, oltre a scongiurare ovviamente un ritorno del cattolicesimo, quello di smorzare le spinte in avanti che si erano verificate nella liturgia e nella dottrina sotto Edoardo VI e Thomas Cranmer.
La revisione del rito dell’ordinazione dei pastori della Chiesa (Ordinale) non portò a nessuna importante variazione rispetto all’edizione precedente che, mantenendo solo la consegna della Bibbia come strumento per l’ordinazione presbiterale, eliminava di fatto il linguaggio sacrificale a vantaggio del ruolo profetico del pastore. In tal modo furono poste le premesse per non riconoscere, in campo cattolico, la validità dell’ordinazione.
Di grande importanza fu invece la revisione del Prayer’s Book (1559) che andò invece in senso conservatore: furono riammessi i paramenti liturgici, le parole della comunione furono il frutto di un compromesso tra le posizioni luterana e zwingliana («Il Corpo [o Sangue] del Nostro Signore Gesù Cristo, che fu dato per te, preservi il tuo corpo e la tua anima fino alla vita eterna. Prendi e mangia [o bevi], questo è il ricordo che Cristo è morto per te, e alimentati di lui nel tuo cuore con rendimento di grazie»).
Infine la confessione di fede, di stampo più calvinista che luterano, fu redatta sulla base degli articoli già promulgati da Edoardo VI (erano 42) e fu denominata I 39 Articoli (1563).
La questione religiosa rimase comunque un problema irrisolto durante il regno di Elisabetta: se infatti costei in qualche modo aveva indebolito il cattolicesimo, non altrettanto fu in grado di fare nei confronti dell’ala più radicale del protestantesimo, quella dei «puritani», per nulla convinti dal conservatorismo elisabettiano e poco inclini uniformarsi alla confessione ufficiale.
Costoro intendevano andare più a fondo con la riforma: era necessario eliminare tutto ciò che sapeva di «papismo» nella liturgia come nella dottrina. Inoltre la stessa struttura ecclesiastica doveva modellarsi in senso non episcopale ma presbiteriano e purificarsi profondamente alla luce del «Sola Scriptura». Per cui i più esaltati tra i puritani furono, come i cattolici per motivi diversi, oggetto di persecuzione perché sediziosi, ma il fuoco del puritanesimo covava sotto la cenere, pronto a riproporsi nell’età degli Stuart. Ma questa divisione all’interno dell’anglicanesimo rappresenta un altro capitolo di una lunga storia di cui mi sono limitato a ricordare solo gli inizi e i primi sviluppi.