Leggendo il brano della conversione di Paolo mi sono venute alcune curiosità. A parte il fatto che mai si dice nel racconto che fosse a cavallo quando cade, come invece viene generalmente dipinto, mi ha colpito anche il fatto che a seguito di questa caduta rimane cieco. Mi ha colpito anche che la voce che gli parla sia quella di Gesù, e non di Dio Padre. Questi elementi potrebbero essere allegorici, simbolici, come abbiamo imparato a considerare tanti episodi dell’Antico Testamento? Oppure si ritiene un fatto accaduto così come gli Atti degli Apostoli lo riportano?Francesco MagiRisponde don Stefano Tarocchi, docente di Sacra ScritturaIl libro degli Atti degli Apostoli racconta per tre volte la «chiamata» di Paolo, spesso definita «conversione» anche nella festa liturgica che la ricorda: è la ricostruzione di Luca, l’autore del terzo vangelo, di uno degli eventi che ha determinato il cristianesimo come noi lo conosciamo: non è in discussione la storicità dell’avvenimento, ma il suo significato. Per capirne la portata, bisogna andare soprattutto a ciò che l’apostolo stesso dice di sé all’esordio della lettera ai Galati: una vera e propria chiamata da parte di Dio, che gli ha rivelato suo Figlio. Così scrive Paolo: «Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri. Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco. In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco. Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia. Ma ero sconosciuto personalmente alle Chiese della Giudea che sono in Cristo; soltanto avevano sentito dire: “Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere”. E glorificavano Dio a causa mia» (Gal 1,12-24). Anche all’interno delle lettere di Paolo esiste tutta una serie di testi che richiamano quell’avvenimento nel quale la sua vita, di persecutore della fede cristiana è stata cambiata. Uno per tutti: «Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io, infatti, sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio» (1 Cor 15,8-9). O ancora, nella lettera ai Filippesi: «circonciso all’età di otto giorni, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei; quanto alla Legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della Chiesa; quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della Legge, irreprensibile. Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo» (Filippesi 3,5-7). Per tornare ai tre racconti degli Atti degli Apostoli che raccontano la vocazione dell’apostolo, l’unico racconto scritto in terza persona è quello del capitolo 9 (At 9,1-21). Gli altri due (At 22 e 26) sono narrati, invece, in prima persona, come veri e propri discorsi di Paolo, uno dei modi di narrare dell’autore del libro. Il primo discorso è pronunciato a Gerusalemme, davanti al tribuno della coorte appena dopo l’arresto dell’apostolo (At 22,1-21). Il secondo è pronunciato davanti al re Erode Agrippa II a Cesarea, la città dove Paolo è stato trasferito in stato di arresto. I tre racconti sono concordi tra loro nella sostanza ma hanno delle differenze importanti, come pure dei punti di contatto decisivi. Fra questi ultimi è compresa la voce di Gesù che si rivolge a Paolo, sulla strada per Damasco, dove – lo ricordiamo – è diretto con lettere del sommo sacerdote per le sinagoghe di Damasco, per «essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme tutti quelli che avesse trovato, uomini e donne, appartenenti a questa Via» (At 9,2), ossia i seguaci di Gesù. È perciò proprio la voce di Gesù che nei tre racconti dice all’apostolo: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Paolo risponde con un’altra domanda: «Chi sei tu Signore», e il Cristo gli dice: «Sono Gesù che tu perseguiti» (At 9,4-5) Ecco il motivo per cui Gesù prende il posto del Padre nella chiamata: non ci deve stupire questo scambio all’interno della Trinità, perché c’è una stretta identificazione tra Gesù e i suoi seguaci, obiettivo della persecuzione di Paolo. Lo dice molto bene la prima lettera a Timoteo, che ci restituisce l’immagine di Paolo secondo la prima comunità: «rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero: io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede» (1Tim 1,12-13). I tre aggettivi usati indicano il suo impegno per screditare i cristiani («bestemmiatore») e raggiungerli dove si trovavano («persecutore»), e la sua lotta per prevalere sulle loro idee, non certo una violenza fisica («violento). Tornando ai racconti degli Atti, è bene notare anche le differenze. Intanto dimentichiamo la caduta di Paolo da cavallo: questa compare in alcune raffigurazioni di epoca medievale, ed è ripresa nel duplice dipinto del Caravaggio, la cui analisi è estremamente interessante. Non c’è il cavallo perché Paolo viaggiava a piedi come la gran parte delle persone che non potevano permettersi un mezzo di locomozione così costoso. Nei primi due racconti (At 9 e 22), Paolo solo cade a terra. In questi due racconti si rialza cieco, «a causa del fulgore di quella luce». Solo nel terzo racconto degli Atti (At 26) si dice che tutti i viandanti cadono a terra. E soltanto in questo racconto il libro degli Atti dice che la voce si rivolge a Paolo in ebraico, e subito dopo il Cristo gli conferisce immediatamente il mandato missionario verso giudei e gentili.Solo nel primo racconto i compagni di Paolo odono la voce del Cristo, ma non vedono la luce. Nel secondo racconto i compagni di Paolo vedono la luce ma non sentono nulla. Ascoltano solo Paolo che domanda al Cristo che cosa deve fare: è a quel punto che è mandato a Damasco a ricevere istruzioni, mentre è ancora cieco. In quel momento è introdotto Anania, che guarisce Paolo e poi lo battezza. Ricordiamo che Paolo sta parlando nel tempio di Gerusalemme: in una visione, proprio nel tempio riceve il mandato di annunciare il Vangelo.Il primo racconto, invece, introduce con prepotenza la figura di Anania, cui viene rivelato ciò che è accaduto ed è inviato dove si trova Paolo sulla strada chiamata «Diritta» – ossia il decumano di Damasco –: in visione gli è stato anticipato l’arrivo dello stesso Anania che dovrà guarirlo. Anania obietta al Cristo, che gli è apparso in visione, quanto male ha fatto Paolo ai «fedeli», oltre al fatto che ha ricevuto l’«autorizzazione dei sommi sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano» il «nome» del Signore. Ad Anania però è rivelato che Paolo è «lo strumento scelto» perché porti il nome del Signore «dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli d’Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome». Quindi tutto accade in fretta: «Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: “Saulo, fratello, mi ha mandato a te il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada che percorrevi, perché tu riacquisti la vista e sia colmato di Spirito Santo”. E subito gli caddero dagli occhi come delle squame e recuperò la vista. Si alzò e venne battezzato, poi prese cibo e le forze gli ritornarono. Rimase alcuni giorni insieme ai discepoli che erano a Damasco, e subito nelle sinagoghe annunciava che Gesù è il Figlio di Dio» (At 9). Colui che sarà inviato in particolare ai «popoli stranieri» non ha cambiato strada, ma è stato «conquistato da Cristo Gesù» (Filippesi 3,12). Dirà Paolo stesso ancora: «a me era stato affidato il Vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per le genti» (Galati 2,7).