Caro don Ciardella,approfitto di questa sua interessante rubrica per uno sfogo, che spero mi perdonerà. Ultimamente mi sono chiesta (anche per via di una vicenda che mi ha coinvolto indirettamente) se la Chiesa abbia cambiato la sua dottrina nei confronti delle coppie conviventi. Da una durezza, forse anche eccessiva, nel passato, si è passati ad una «tolleranza» molto ampia: fidanzati che vivono insieme da anni vengono ammessi al matrimonio senza battere ciglio. Nella mia parrocchia sono stati addirittura battezzati bambini figli di conviventi non sposati. La convivenza è una prassi ormai consueta, un «periodo di prova» dal quale quasi tutti i ragazzi passano prima di pensare a sposarsi, e i parroci sembrano essersi adeguati a questa moda. Capisco che la Chiesa deve essere accogliente e misericordiosa: ma non si finisce così per svilire ancora di più il matrimonio? Lettera firmatarisponde PIERO CIARDELLACara signora, il suo motivato «sfogo» centra un problema che, le assicuro, rappresenta una vera preoccupazione anche per i pastori. Naturalmente la dottrina della Chiesa in materia non è affatto mutata, anzi, il fenomeno delle «unioni di fatto», in continua crescita e con sempre più richieste di riconoscimento giuridico, è seguito con apprensione dal Magistero sia per le negative ricadute che ha sul piano sociale ed ecclesiale, che per il retroterra culturale sottostante. Ciò che sicuramente è cambiato – a ragione – è l’atteggiamento della Chiesa nei confronti di quanti scelgono la convivenza: da un totale rifiuto e da un giudizio escludente, si è passati ad un atteggiamento accogliente, di comprensione e di concreto aiuto. Anche se, dobbiamo constatare, rimane ancora una disparità di prassi pastorale tra i sacerdoti che genera non poche incomprensioni e disorientamento. Questo cambiamento non è certo motivato da un rassegnato adeguamento alla «moda», ma per ragioni, a mio modo di vedere, condivisibili. Innanzitutto, oggi si richiede un serio e sereno discernimento che tenga conto delle motivazioni che inducono alla scelta della convivenza. In un documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia di qualche anno fa (Famiglia, matrimonio e unioni di fatto), si legge chiaramente che «l’espressione unioni di fatto abbraccia un insieme di realtà umane molteplici ed eterogenee» e per questo non è consentito fare, come si dice, di ogni erba un fascio. «Siamo di fronte a persone concrete – continua il documento -, con una visione propria della vita… con la loro storia. Dobbiamo considerare la realtà esistenziale della libertà individuale di scelta e della dignità delle persone, che possono sbagliare». Dunque, se la convivenza è sempre un errore che mina nel profondo la stessa natura dell’amore umano che chiede stabilità ed ha inevitabili dimensioni sociali, occorre saper discernere le motivazioni delle singole persone. C’è infatti chi sceglie la convivenza per una opposizione radicale e ideologica al matrimonio, chi per timore di legarsi «per sempre» ad una persona, ma c’è anche chi la vive come soluzione forzata e temporanea.Il documento citato, inoltre, invita a tener conto anche delle cause culturali che sono all’origine della crisi del matrimonio sia civile che religioso. Oggi dobbiamo prendere atto che soprattutto le nuove generazioni sono spesso vittime di una cultura che impone loro il mito del continuo cambiamento, che rifiuta certezze e valori che impegnano stabilmente per il futuro. Per questo, come ha di recente riaffermato il sociologo Bauman nel saggio dedicato alla odierna fragilità dei legami affettivi: Amore liquido, l’uomo contemporaneo, se da una parte ha l’estremo bisogno di relazione, al contempo «ha paura di restare impigliato in relazioni stabili e teme che un legame stretto comporti oneri che non vuole né pensa di poter sopportare». La consapevolezza di questa istanza epocale deve motivare i pastori e i laici cristiani ad una maggiore comprensione verso le singole persone, ed insieme ad «approfondire gli aspetti positivi dell’amore coniugale, per poter inculturare la Verità del Vangelo» (famiglia, matrimonio ). In altre parole, qualunque siano i motivi per cui i giovani scelgono la convivenza, la Chiesa ha il dovere di accogliere nel rispetto delle loro scelte ognuna di queste persone, non nascondendo o falsificando la verità, ma mettendo in atto concreti cammini di accompagnamento per aiutarle a maturare una scelta più responsabile. Con molta sapienza pastorale e in maniera sintetica il Direttorio di pastorale familiare della CEI afferma: «L’individuazione precisa delle vere ragioni che hanno condotto alla semplice convivenza permetterà di offrire contributi più efficaci e mirati per aiutare queste persone a chiarire la loro posizione, a superare le difficoltà incontrate Attraverso un fraterno dialogo e una paziente opera di illuminazione, di caritatevole correzione, di testimonianza familiare cristiana, i pastori e i laici che fossero a conoscenza di tali situazioni si adoperino, quindi, affinché esse, quando sono unioni con un solido fondamento di amore reciproco, si risolvano con la celebrazione del matrimonio».Il documento «Famiglia, matrimonio e unioni di fatto» (26-07-2000)(II)