Ci sono situazioni in cui l’aborto è ammesso dalla Chiesa?
In questi giorni, con il quarantennale della legge, si è tornati a parlare di aborto. Il Papa ha detto parole molto forti, paragonando addirittura certe forme di aborto (l’aborto selettivo) alle azioni compiute dai nazisti. Volevo sapere se ci sono casi in cui invece la Chiesa ammette il ricorso all’aborto (ad esempio il cosiddetto «aborto terapeutico»).
Anna Celestini
L’aborto è la soppressione volontaria di una vita umana nel tempo che va dal concepimento alla nascita. Il rifiuto dell’aborto è stato sin dalle origini un tratto distintivo dei Cristiani nei confronti del mondo greco-romano in cui l’aborto era pratica diffusa. Gli antichi difensori della fede cristiana come Tertulliano e le testimonianze della catechesi primitiva, come la Didaché, sono unanimi e decise nella condanna dell’aborto. Questa persuasione del popolo credente è così continua, unanime e universale che san Giovanni Paolo II in Evangelium vitae ne ha fatto oggetto di una dichiarazione solenne (EV 62).
Papa Francesco in più occasioni ha parlato dell’aborto in termini netti e inequivocabili, in piena sintonia con tutta la Tradizione della Chiesa. Basti ricordare alcune parole appassionate di Evangelii gaudium in cui difende la dignità e il diritto ad esistere dei nascituri: «Tra questi deboli di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo. Frequentemente, per ridicolizzare allegramente la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri, si fa in modo di presentare la sua posizione come qualcosa di ideologico, oscurantista e conservatore. Eppure questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo» (Evangelii gaudium, 213).
Un aspetto inquietante dell’aborto è costituito dall’aborto eugenetico, l’aborto cioè di creature che presentano malformazioni. Ricordo che 2-3 nati su 100 in Italia presentano anomalie maggiori (ad esempio il labbro leporino con o senza palatoschisi o la mancanza di un arto o problemi della chiusura tubo neurale, come la spina bifida). Aggiungendo a queste anche le sindromi genetiche, le cromosomopatie (come la sindrome di Down), le malattie metaboliche e quelle da infezione contratta in gravidanza (come, un tempo, la rosolia) si giunge ad un 4-5% di anomalie congenite. Sono bambini che nasceranno con situazioni di svantaggio fisico e mentale più o meno grave e che, proprio a motivo della loro fragilità, dovrebbero essere accolti con tanto più amore e cura da parte di tutti, ma nelle nostre società fortemente competitive e ostili verso i perdenti essi non trovano spazio: in nome di quella che il Santo Padre chiama la «cultura dello scarto». Il programma nazista di eliminazione degli handicappati e malati di varia natura, fisica e psichica, poi esteso a gruppi e razze ritenute indesiderabili, rivive oggi sotto nuove forme. Nell’antilingua che nasconde la verità delle cose, questi aborti vengono spesso definiti terapeutici, ma è evidente che non sono per niente terapeutici perché non curano nessuno ed eliminano, invece, creature deboli e prive di difese.
L’espressione aborto terapeutico potrebbe applicarsi più propriamente a quelle interruzioni di gravidanza che sono operate per evitare gravi rischi a madri, affette, per esempio, da insufficienza renale o cardiopatia nelle quali la gravidanza determina un peggioramento delle condizioni fisiche. In questi casi l’aborto non è procurato per un rifiuto del bambino, ma per evitare rischi seri alla madre, però aborto resta. Il medico di buona coscienza, però si comporta diversamente: egli non antepone una vita all’altra, ma si prende cura di entrambe e, servendosi dei mezzi odierni di terapia e monitoraggio, porta avanti la gravidanza per quanto possibile, anticipando il parto quando il feto sia viabile (ossia, in grado di vivere autonomamente). Diverso il caso che un aborto conseguisse – come effetto collaterale grave e non voluto – a un intervento terapeutico posto per curare una patologia, come potrebbe essere una chemioterapia per un tumore. La perdita del bambino non sarebbe da attribuirsi ad un atto volontario di soppressione. Ancora diverso il caso in cui non ci fosse il dilemma «o la mamma o il bambino», ma purtroppo il bambino non fosse salvabile in nessun modo, come per una gestosi ribelle alle terapie: l’anticipo del parto, anche in tempi non sufficiente maturità del feto, si presenta allora come l’unico bene possibile.
Tra le situazioni drammatiche nelle quali si prospetta l’aborto volontario c’è l’aborto dopo stupro. In pace, in guerra, dopo violenza su donna non consenziente, dopo atto sessuale estorto a donna mentalmente handicappata: tante storie e tanto dolore. Nessuno vuole ergersi ad accusatore di donne terrorizzate e umiliate che vivono una gravidanza possibile o in atto come un prolungarsi della violenza invasiva dello stupratore, ma non possiamo chiudere gli occhi di fronte ad una verità: la soppressione di questa creatura, indesiderata e concepita in un modo indegno della persona, è una violenza che si aggiunge ad una violenza. In questi frangenti diventa essenziale il consiglio e il sostegno di persone competenti e generose.
Ho delineato alcune situazioni delicate che chiedono di essere affrontate con misericordia, delicatezza e saggio discernimento, ma sia chiaro che in nessuna situazione la coscienza dei credenti può giustificare o approvare la soppressione volontaria di una vita umana che, fragile e innocente, è affidata alle nostre mani.
Maurizio Faggioni