Chi ha creato il bene e il male?
Nel Libro della Genesi Dio avverte Adamo ed Eva di non mangiare dell’albero del bene e del male. Chi è il creatore dell’albero? L’albero dimostra che l’esistenza del bene e del male precede l’opera del serpente e quella dell’uomo. Il peccato è consistito solo nell’entrare a conoscenza del bene e del male, non nell’averlo creato. Chi ha creato, dunque, il bene e il male?
Alessandra Scialla
Il bene e il male non si creano, si fanno o no. Ma non è vero, perché il bene si identifica nel suo fondamento con l’Essere di Dio, quindi il bene c’è e basta. Il problema è il male, perché dato il Bene infinito, che è Dio stesso, il male non può esserci. Però c’è e questo ci mette in difficoltà: perché e come può esserci?
Il racconto delle origini dell’essere umano scritto in Genesi è un racconto «mitico»: non vuol fare la cronaca di come sono avvenute le cose, ma rivelare il senso dell’essere umano, come la parabola, di Gesù, della donna che colla scopa va alla ricerca del denaro perso, non è la cronaca del regno dei cieli, ma un suo senso. L’albero indica la presenza nell’uomo del principio di libertà, il libero arbitrio, grazie al quale ha diritto di autodeterminare la sua vita secondo una propria scelta. Ora l’autodeterminazione della propria vita non è fare quello che ci pare, ma quello di stabilire i mezzi, le opere, i modi, l’agire per giungere a un fine, oppure (e meglio) per mantenere uno stato nel quale siamo stati creati e destinati.
L’essere umano non è libero a 360 gradi, ma nel vivere ciò che è – stia attenta la lettrice – lo fa liberamente. Ripeto, l’uomo non è libero di fare quello che vuole, ma nel fare quello che deve fare lo fa liberamente, per autodeterminazione. Questo è l’albero della conoscenza del bene e del male: è una caratteristica dell’essere umano. Perciò il creatore dell’albero è Dio e l’albero è nel giardino dell’essere umano, dentro di lui. Prima del peccato esiste solo il bene, perché il male è un’azione dell’uomo, perciò richiede come condizione che esista Dio, che abbia creato l’uomo e la donna e che siano liberi, e solo a questo punto è possibile che emerga il male.
Il male non abita la conoscenza, se con conoscenza s’intende il sapere speculativo, perché il male non poteva essere saputo dato che non esisteva. Se per conoscenza s’intende l’esperienza concreta del male e di conseguenza del bene, allora sì. Infatti del male i progenitori potevano saperlo solo facendolo, come nessuno sa di saltare finché non ha fatto un salto. Perciò non c’è nessun male prima che sia stato fatto, e di conseguenza non c’è nessun albero dove sono appesi frutti buoni o cattivi. L’albero sta a significare che Dio fa avvertiti i progenitori della pericolosità del libero arbitrio e del suo uso, ma non c’erano già appesi su quell’albero i peccati da fare, esso era-è un albero buono perché il libero arbitrio è ciò che ci rende simili a Dio. Il problema sta nell’uso, non nel suo esserci.
A questo punto dobbiamo stabilire qual è il fine o, meglio, lo stato umano nel quale si può esercitare la libertà e, nel fare ciò, si possono scegliere i modi, i mezzi, l’agire, le regole che caratterizzano l’autodeterminazione a vivere quello stato. In altri termini e per esempio: Dio ci ha creati in un campo di calcio, e questo è lo stato obbligato per tutti, ma ci lascia liberi nel giocare, di scegliere il ruolo, la posizione, lo stile. Dio ci ha creato maschi e femmine e il compito, o il fine e lo scopo nostro è di amarci gli uni gli altri, e nell’amarci siamo liberi, lo facciamo liberamente secondo le nostre qualità, sensibilità, attenzioni e quant’altro. Non c’è un essere umano che ami allo stesso modo e con gli stessi mezzi e attenzioni, tuttavia amare è il compito e il fine inderogabile, imprescindibile e indiscutibile di ogni e singolo essere umano, perché questo è il bene entro il quale siamo stati creati e costituisce le radici e il tronco dell’albero del bene che ogni uomo è.
Spero sia chiaro che, per i progenitori, il male ancora né si era visto, né c’era, né era prevedibile.
Solo Dio sa del male e avvisa l’uomo proprio per la gravità e le conseguenze, ma, in ragione della dignità umana, non interviene nelle scelte umane, cioè nell’autodeterminazione (buona o cattiva che sia), perché sarebbe come annullare la creazione. Una mamma che mettesse al mondo un figlio e poi lo legasse al tavolino perché non vada fuori a corrompersi, è meglio che non lo generi.
Il peccato nasce e si compie nell’errato uso della scelta di come amare le persone, il mondo e Dio stesso. Siccome la scelta segue la soggettività e la soggettività ha una forza di concupiscenza, che è tra i caratteri volitivi, così nell’atto d’amare invece del servizio viene ad emergere il possesso… il frutto era bello a vedersi e capace di aprire una prospettiva nuova che l’amore originario, come donazione di sé, non permetteva di conoscere.
Per questa strada il male fa breccia nel creato, gli uomini invece di rapportarsi grazie all’amore di donazione, immettono un nuovo modo di viverlo che è quello del possesso. Da qui ogni altro peccato, perché è cambiata completamente la prospettiva di vita, che dal servizio, in cui Dio l’aveva creata, diventa per l’uomo oggetto di dominio. Dio poteva evitare all’essere umano questa deriva? Sì, non creandolo, ma tanto valeva.
Athos Turchi