Chi è il Servo del Signore?
È lui stesso a narrare nel Secondo Canto il compito affidatogli, paragonando la sua parola a una spada affilata e a una freccia appuntita, percependosi, come Geremia, conosciuto da Dio fin dal seno materno. Egli si riprende da un momentaneo scoraggiamento per l’apparente inutilità del suo darsi da fare, si attende la ricompensa soltanto da Dio il quale allarga il campo di azione e di apostolato: non solo «restaura le tribù di Giacobbe e riconduce i superstiti di Israele», ma diventa anche «luce delle nazioni» (Is 49,6). Quale profeta che porta la volontà di Dio a gente restia a cambiare, trova ostilità, incomprensioni, persecuzione. «Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba, non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (Is 50,6).
La coscienza di essere innocente dinanzi a chi interpreta i suoi mali come segno dell’abbandono di Dio, fa ravvedere alla fine, dopo la morte, i suoi contemporanei. Prima lo pensavano oppresso da Dio e umiliato, ora riconoscono un valore salvifico alle sue sofferenze sopportate per loro, confessando di avere pace per le sue piaghe. Il senso di questa vita è espresso alla fine da Dio: «Il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità» (Is 53,11).
Si è discusso molto su chi sia questo personaggio, identificato ora con l’uno ora con l’altro nome biblico, da Mosè a Isaia, dal re Yoyakim a Geremia, da Giosia a Zorobabele. In modo perfetto corrisponde solo al volto di Gesù Cristo che non ha spiegato la sofferenza, ma l’ha cambiata in strumento di comunione con Dio e con gli uomini. È un invito alla contemplazione di questo volto durante la Settimana Santa che offre la lettura completa dei Canti.