Celibato dei preti: la Chiesa potrebbe ripensarci?
Recentemente i giornali hanno parlato molto del celibato dei preti: qualcuno (un importante cardinale, mi pare) ha detto che la Chiesa potrebbe anche ripensarci, poi però il Vaticano ha ribadito che la questione per ora non è in discussione. Come stanno esattamente le cose? Su quali motivazioni si basa questa scelta della Chiesa cattolica? A me sembra che il principio generale sia giusto, ma non potrebbero essere ammesse eccezioni in casi particolari? Grazie per l’attenzione.
Giovanni Ghirelli
Si tratta di una legge della Chiesa e pertanto quando lo ritenesse opportuno potrebbe decidere di cambiarla. Ma per fare questo occorre che non una semplice maggioranza di vescovi lo richieda quanto piuttosto si arrivi ad una convinzione unanimemente, o quasi, condivisa come è avvenuto per i documenti conciliari.
Subito dopo la conclusione del Concilio Vaticano II Paolo VI dedicò a questo argomento un’intera enciclica (Sacerdotalis caelibatus) mantenendo la promessa che aveva fatto ai padri conciliari di voler dare nuovo vigore al celibato sacerdotale nelle circostanze attuali. Gli interrogativi che riguardavano la questione del mantenimento in vigore di questa legge erano già ben presenti e delineati. Il papa si chiedeva infatti: «non sarebbe maturato il tempo per scindere il vincolo che unisce nella chiesa il celibato al sacerdozio? Non potrebbe essere facoltativa questa difficile osservanza? Non ne sarebbe favorito il ministero sacerdotale, facilitato l’avvicinamento ecumenico?» E, prima di affrontare il tema, esaminava le obiezioni avanzate contro il celibato sacerdotale; obiezioni che in questi quaranta anni sono periodicamente riproposte: la dottrina di Cristo e degli apostoli che non esigeva il celibato; la scarsità numerica del clero attribuita da molti all’obbligo del celibato; una più completa testimonianza di vita cristiana che i preti sposati darebbero nel campo della famiglia; la situazione psicologica di insufficiente equilibrio della personalità umana del prete celibe.
La risposta di Paolo VI nella linea della conferma della validità del celibato è ampiamente documentata nell’enciclica. Le motivazioni sono essenzialmente teologiche e possono essere così sintetizzate: il sacerdote è legato totalmente a Cristo, è a totale servizio della Chiesa e degli uomini, è testimone dei valori del Regno di Dio. La preoccupazione del papa si estendeva poi anche al grave compito della formazione del clero. Ma l’enciclica non escludeva la possibilità che in alcuni casi particolari potessero essere ordinati, a determinate condizioni, uomini già sposati: è il caso di ministri coniugati di altre confessioni cristiane che intendessero rientrare in comunione con la chiesa cattolica e continuare ad esercitare il ministero.
Dopo più di venti anni, in occasione del Sinodo dei vescovi sulla formazione dei sacerdoti, che si tenne nell’autunno del 1990, riemerse il problema del celibato a proposito del caso di ordinazione sacerdotale di uomini sposati. Anche in quella circostanza vi furono ampie discussioni anche a livello giornalistico che riproposero le diverse posizioni. Nell’assemblea sinodale venne, tuttavia, riaffermata a maggioranza netta la tesi del mantenimento e della validità della legge celibataria.
Lo stesso Giovanni Paolo II nella sua esortazione apostolica post-sinodale del 1992 (Pastores dabo vobis) accolse alla lettera la proposizione presentatagli dai padri sinodali che riaffermavano la volontà della Chiesa di mantenere la legge del celibato, liberamente scelto e perpetuo, per i candidati all’ordinazione sacerdotale nel rito latino.
Sempre nello stesso documento viene poi spiegata dal Sommo Pontefice la motivazione teologica della legge ecclesiastica sul celibato: in quanto legge esprime la volontà della Chiesa, prima ancora della volontà del candidato al sacerdozio. Questa volontà della Chiesa trova la sua ultima motivazione nel legame che il celibato ha con l’ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo Capo e Sposo della Chiesa. Per questo il sacerdote è chiamato ad amare la Chiesa nel modo totale ed esclusivo con cui Gesù l’ha amata.
Alla fine del paragrafo il papa conclude affermando che: «Il celibato è dunque da accogliere con libera e amorosa decisione da rinnovare continuamente, come dono inestimabile di Dio, come stimolo della carità pastorale, come singolare partecipazione alla paternità di Dio e alla fecondità della Chiesa, come testimonianza al mondo del Regno escatologico».
Come si vede la linea che la Chiesa ha riproposto in questi anni, è quella di far comprendere in modo positivo la ricchezza del carisma attraverso il mantenimento di questa legge, più che a mettere in discussione una disciplina secolare anche di fronte al problema della diminuzione delle vocazioni sacerdotali. La Chiesa intende puntare in alto e salvaguardare la portata di questa testimonianza e per questo richiede il grande sforzo della formazione dei candidati al sacerdozio. Il documento citato sopra, frutto dell’apporto di vescovi di tutto il mondo, si dilunga su questo importante e decisivo compito della formazione sacerdotale. Una formazione che riguarda non solo il ministero sacerdotale negli aspetti spirituale, intellettuale e pastorale, ma che trova il suo vero fondamento nella maturazione integrata di tutta la personalità umana. E a questo proposito non vengono dimenticati gli aspetti e le dimensioni della maturazione affettiva e di un’educazione alla sessualità pienamente personale. Aspetti considerati necessari per poter vivere serenamente e in modo maturo il carisma del celibato.