Bibbia e scienza: mito e teoria dell’evoluzione
Sul numero di Toscana Oggi del 2 febbraio scorso abbiamo pubblicato la risposta di padre Athos Turchi, docente di Filosofia alla Facoltà Teologia dell’Italia centrale, alla lettera di un nostro lettore, Giuseppe Mandorli. La lettera poneva questa domanda: «Come si concilia il “mito” biblico della creazione con la consolidata acquisizione scientifica dell’evoluzione cosmica e umana?»
La domanda, e la risposta di padre Turchi, hanno suscitato altre riflessioni: una di padre Paolo De Lisi, sacerdote laureato in Fisica, una di dom Giovanni Ponticelli, monaco dell’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore.
Pubblichiamo questi contributi, con una ulteriore riflessione di padre Turchi che approfondisce e precisa alcuni passaggi della sua risposta precedente. Speriamo così di fare partecipi i nostri lettori di un dibattito su un tema affascinante come quello delle origini del cosmo.
La Genesi: una grande parabola che racconta le origini del cosmo
Non vedo questa impossibilità di conciliazione. La stessa scienza è arrivata a dire che il cosmo ha avuto un inizio con il Big-Bang e ne ha indicato, approssimativamente, anche l’età in circa tredici miliardi di anni.
Nella risposta al lettore il filosofo padre Athos Turchi, dopo aver posto dei limiti alla «consolidata acquisizione scientifica» di cui parla il lettore, dice molto bene sulla parabola, usata più volte da Gesù come forma di racconto per trasmettere una realtà. Infatti, i primi 11 capitoli della Genesi si possono considerare come una grande parabola con la quale, in una forma popolare e poetica, Dio ha voluto comunicare all’uomo la verità sull’origine del cosmo, sull’uomo stesso e sull’esistenza del male.
Però, nella sua risposta, il filosofo riprende più volte anche l’espressione «mito della creazione», usata, fra virgolette dallo stesso lettore. E qui esprimo, a mia volta, la mia perplessità. È vero che anche il concetto di «mito», è complesso, molteplice, ma in genere si intende, nella classicità greca e romana, una stratificazione di leggende sugli dèi e gli eroi.
Può darsi che il padre Turchi usi l’espressione come equivalente di parabola e allora andrebbe tutto bene. Ma, comunque, l’espressione è equivoca e può creare confusione nei lettori del Settimanale. In sostanza, Bibbia e Teologia sono cose ben diverse dalla Mitologia.
Dalla creazione al «Big bang»
Ebbene, chiarezza per chiarezza, vorrei aggiungere qualche parola per inquadrare la questione nel suo giusto contesto, che è quello della ricerca scientifica i cui risultati non hanno niente a che fare col cosiddetto «evoluzionismo» che invece è una posizione filosofica e ideologica.
Il primo errore che si commette quando si affronta questo problema è di non definire esattamente cosa significa (scientificamente) il termine «evoluzione». Infatti senza concetti precisi la scienza non può procedere e si genera solo confusione. Poi occorre verificare se questa «evoluzione» è un fatto scientificamente accertato o se si tratta solo di un’ipotesi seppure appoggiata su più o meno numerosi dati. Infine occorre proporre delle teorie che, fondate su osservazioni oggettive, spieghino, in un quadro coerente di sviluppi logici, i fatti osservati e ne prevedano altri che possono essere in seguito verificati sperimentalmente. Solo con questa impostazione le teorie possono essere falsificabili secondo il criterio di scientificità di Popper (come giustamente lei diceva nel suo scritto). Basta un solo fatto sperimentale che non si accorda con la teoria proposta e questa deve essere sicuramente abbandonata o almeno ripensata nei suoi fondamenti.
Così dopo la teoria di Lamark ci fu quella di Wallace-Darwin, quasi subito criticata su basi oggettive da Mivart che ne denunciò le deficienze (purtroppo non fu molto ascoltato). In seguito alla scoperta delle leggi di Mendel il darwinismo classico dovette essere abbandonato e fu formulata la teoria sintetica, nota anche come neodarwinismo, basata sulle mutazioni genetiche casuali e che spadroneggiò fino agli anni cinquanta.
In seguito alla decifrazione del genoma (2000) le cose si complicarono ulteriormente perché fu evidente che solo una piccolissima parte del DNA (meno del 3%) codifica proteine, mentre il resto ha funzioni diverse che ancora non sono state comprese, ma si suppone che questa enorme striscia dei genoma abbia avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione.
Parallelamente, la scoperta delle mutazioni epigenetiche, dei cosiddetti «geni regolatori», e di altri fenomeni che la nuova genetica va via via evidenziando, hanno suscitato nuove teorie (evo-devo e altro) e si è sempre più fatta avanti la necessità di una totale reimpostazione delle teorie evolutive. Questo lavoro è ancora in corso e avrà certamente nei prossimi anni sviluppi fondamentali.
(Il testo era già stato postato tra i commenti alla citata rubrica di «Risponde il teologo», ma lo abbiamo riprodotto integralmente per facilitare i lettori)
La replica di padre Athos Turchi: Il mito? Non è pura fantasia ma un modo per dire la verità
Status quaestionis. Il lettore Giuseppe Mandorli, nella sua lettera, chiedeva come si possano conciliare scienza e mito-religioso circa l’origine del mondo. Padre De Lisi sostiene con solide argomentazioni che la ipotesi evoluzionistica non è scientifica, ma una qualsiasi ideologia o teoria filosofica. Dom Ponticelli ritiene che il mito esprima una credenza o una «forma popolare e poetica», ossia favolistica, e con contenuti simili alle «stratificazioni di leggende». In altri termini – interpreto – il mito non è come la parabola, perché questa è un racconto verosimile, mentre il mito è fiabesco e leggendario.
Risponderei iniziando da questa ultima osservazione. È vero che il mito è stato contrapposto al logos, anche se originariamente, per es. in Omero, volevano dire la stessa cosa: parola, discorso, racconto. Mito, poi, è passato a significare il racconto di ciò che si crede, e logos a significare il discorso epistemico (scientifico, razionale). Tuttavia Platone dice che il mito esprime la verità, e non la fantasiosità o la leggendarietà date queste dall’invenzione della fantasia umana: sebbene il linguaggio sia nella forma di leggenda, tuttavia il contenuto significa una verità. Infatti nel dialogo Gorgia (532 a) dice che sul destino delle anime, il suo discordo, anche se si esprime in forma mitologica, va inteso però come verità. Il perché lo spiega nel dialogo Fedone (113 c-115 a): non potendo il logos raggiungere tutta la verità, questa può essere manifestata tramite il mito. Platone fa gran utilizzo del mito circa quegli argomenti che sfuggono al logos o a cui il logos non può arrivarci: origine dell’anima, destino dell’anima, origine della sessualità umana, mondo delle idee, ecc., perché in questo genere di problemi è impossibile per la ragione raggiungere una conoscenza piena e incontrovertibile (=scientifica-logica), e la mitologia è chiamata a supplire a questa incapacità, anche rischiando qualcosa.
Oltre Platone, porto a mio sostegno quanto Giovanni Paolo II dice proprio del «mito della creazione». Nel volume Uomo e donna lo creò, a pg. 36, si legge: «attraverso tutta la forma arcaica della narrazione, che manifesta il suo primitivo carattere mitico…», dunque, anche per il Papa, il racconto ha il carattere mitico, e la nota – sempre di pg 36 – è così lunga e articolata che spiega bene la «storia» del termine mito.
Ma non è questo che interessa, bensì il fatto che il venerato Papa si rifà a questo «mito» perché Gesù stesso, per ben due volte, lo cita: «Il Creatore da principio li creò… Ma da principio non fu così» (Mt 19,3.8). E tiene a spiegare che il termine principio non significa solo originario, ma soprattutto archetipo, (=principio-modello), ossia ciò che in quel racconto è detto è esattamente la verità prototipa sull’essere umano, e il senso dell’essere umano lì detta rimarrà costante, uguale, immutabile nel corso di tutta la storia, dalle origini alla sua fine. In mitologia principio non è solo l’originario ma è il modello eterno e archetipo, il campione essenziale ed esemplare, di ciò di cui si parla, in questo caso dell’uomo, che si ritrova, perché lo caratterizza, in ogni sua possibile realizzazione, come la matrice fa da impressione per ogni singolo foglio.
Medesimo discorso vale per l’azione del peccato originale: non tanto perché è il primo, ma soprattutto perché in ogni e qualsiasi peccato che la storia registri c’è sempre il significato archetipo di quel peccato originario. Faccio un esempio: il rapporto tra il 2 e il 4 è di ½ (un-mezzo), questo ½ è la costante significativa che si ritrova ogni qual volta si ripresenta lo stesso rapporto, fosse anche tra 350 e 700. Ora se il mito dicesse solo fiabe, novelle, leggende, favole… sarebbe strano che Gesù si rifaccia, per definire l’uomo in se stesso, nel suo valore di uomo-donna e di fronte a Dio, a un raccontino fantasioso, e per me sarebbe ridicolo che la Chiesa fondi l’indissolubilità del matrimonio su una novella. Dunque il mito dice la verità, come Giovanni Paolo II e Platone sostengono, e ci metterei anche Gesù.
Dunque in sintesi, io lascerei che la scienza faccia il suo percorso, perché all’uomo interessa sapere più del senso della sua vita (perché c’è, cosa deve fare, che ruolo tenere, dove andiamo a finire), che non quante ossa abbiamo nello scheletro. Che poi lo scienziato ci dica anche questo, fa piacere per quando ce ne rompiamo uno, ma i piani tra il valore dell’esistenza umana e il numero degli alberi della foresta sono ben diversi, per quanto non contrastanti né contrari.