Arrivare in ritardo alla Messa: è grave?
La risposta del teologo: l'importante è come rispondiamo alla chiamata
Il mio parroco è molto critico con chi arriva in ritardo alla Messa, giustamente raccomanda sempre la puntualità. A volte però ci possono essere motivi validi: cosa fare in quei casi? meglio perdere la Messa, o partecipare comunque? C’è un punto oltre il quale, come si diceva una volta, la Messa non è più «valida»?
Lettera firmata
Risponde padre Valerio Mauro, docente di Teologia sacramentaria
Diritto canonico o norma liturgica? Ritardi incolpevoli o superficialità colpevole? Su quale piano comprendere il nostro rapporto con Dio: quello giuridico o dei sentimenti? Ed esiste un piano da preferire, facendo del tutto a meno di altre prospettive? La domanda proposta dal lettore, in apparenza semplice, ne potrebbe suscitare molte altre. Segno che tanto semplice non dovesse essere. Nella lettera si fa riferimento a un linguaggio comune in passato: una lettura giuridica del precetto festivo faceva mettere in campo la determinazione del momento a partire dal quale la partecipazione alla Messa fosse «valida» per la soddisfazione della norma. E qui occorre precisare il senso del termine «valido» usato: era in questione il precetto festivo per il singolo, non il valore della celebrazione in se stessa. Prima della riforma, l’opinione comune prevedeva che bisognasse arrivare prima dell’offertorio. Ne era segno chiaro il momento in cui al calice veniva tolto il velo che lo copriva dall’inizio del rito di allora.
La Riforma liturgica ha messo in luce come la Messa sia formata dalla Liturgia della Parola e dalla Liturgia eucaristica, «congiunte tra di loro così strettamente da formare un solo atto di culto» (Sacrosanctum Concilium, 56). Ne deriva l’invito perché i fedeli «partecipino a tutta la Messa, specialmente la domenica e le feste di precetto» (ibidem). Rimanendo nell’ottica del precetto da osservare, alcuni sostengono che la partecipazione alla Messa sia piena a partire dall’ascolto del Vangelo, data la sua importanza all’interno della Liturgia della Parola: «la lettura del Vangelo costituisce il culmine della stessa Liturgia della Parola» (Ordo lectionum Missae, 13).
Personalmente mi sembra sia opportuno cambiare registro e cercare di comprendere meglio il senso della nostra partecipazione alla Messa, allargando l’orizzonte oltre una mera visione giuridica. Senza rinnegarla, perché le precisazioni del diritto aiutano a definire i contorni delle questioni, ma spesso, in liturgia, il punto centrale si trova altrove. Vorrei fare alcuni esempi tratti dalla vita ordinaria. I tifosi che vanno allo stadio si muovono da casa con largo anticipo, per essere presenti molto prima del fischio d’inizio della partita. L’attesa è ingannata da cori e simili, che compattano i gruppi delle tifoserie avversarie, senza bisogno di pensare a deprecabili degenerazioni, purtroppo non rare. In altro contesto e in un’atmosfera molto più calma, anche chi va a teatro programma di arrivare con un certo anticipo. Anche perché non di rado l’ingresso è interdetto quando lo spettacolo è già iniziato. Potremmo domandarci se nella stragrande maggioranza dei fedeli esistono preoccupazioni simili, quando si organizzano per uscire di casa verso la chiesa, dove parteciperanno all’Eucaristia domenicale.
Bisogna aggiungere, poi, come nel ritmo dell’azione liturgica non possono essere trascurati i riti d’introduzione, il cui scopo «è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare con fede la Parola di Dio e a celebrare degnamente l’Eucaristia» (Istituzione generale del Messale Romano, n. 46).
Prendendo sul serio questa prospettiva liturgica, la domanda dalla quale siamo partiti si trasforma: quale presenza sarà possibile per chi non vive il formarsi dell’assemblea? La Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha precisato come «la Chiesa non si riunisce per umana volontà, ma è convocata da Dio nello Spirito Santo, e risponde per mezzo della fede alla sua vocazione gratuita: il termine ekklesía rimanda, infatti, a klesis, che significa chiamata» (Istruzione Redemptionis Sacramentum, n. 42). Quest’affermazione sottolinea con forza il carattere comunitario della Messa, espressione di una chiamata che il Signore ci rivolge come popolo a Lui consacrato. Mi dice, inoltre, come lo Spirito operi fin dall’inizio dell’intera azione liturgica, attraverso gesti e parole che ci coinvolgono insieme ai fratelli nella fede. Lo spirito della Riforma ci chiede una trasformazione nell’orizzonte di fede: come rispondiamo a questa chiamata da parte del Signore? La prospettiva secondo la quale interrogarsi non dovrebbe essere quella di una fede piena e consapevole, che riconosce realmente nell’Eucaristia domenicale il grande dono che, come Chiesa, abbiamo ricevuto dal Signore? Collocandoci all’interno di questa consapevolezza, molte questioni sarebbero formulate in termini diversi; si trasformerebbe la nostra mente, riscoprendo nella domenica non solo un giorno di riposo dalla fatica settimanale, ma il giorno del Signore, consacrato a Lui e alle relazioni più intime e care, nella festa dello Spirito.