Anche la tentazione è peccato?
Infrangere il 9° e 10° comandamento (non desiderare la donna d’altri, non desiderare la roba d’altri) è peccato. Vorrei però sapere se anche la tentazione che a volte colpisce l’uomo in riferimento ai 2 comandamenti si considera peccato. E ancora, se l’uomo sollecitato dalla tentazione (a volte per stimoli esterni altre per volte sue fantasie e desideri) riesce a combatterla e sconfiggerla ha sempre commesso comunque un peccato? Nel momento in cui la persona apre il suo animo a tentazioni che possono sembrare «piacevoli» ma poi le respinge commette sempre una colpa? Scusi il gioco di parole spero che abbia compreso quello che volevo chiedere.
Roberto Rossi
Per rispondere cedo la parola al cardinal Tomá pidlík, insigne studioso ed apprezzato divulgatore di spiritualità orientale, recentemente scomparso, il quale ha riflettuto sulla fenomenologia della tentazione a partire dall’esperienza dei monaci del deserto che di tentazioni e di mezzi per contrastarle con successo se ne intendevano. Egli riflette sul problema di coloro che nella confessione si accusano di «aver avuto pensieri cattivi» ma non riescono a dire se abbiano acconsentito o meno. «Gli antichi monaci – afferma pidlík – sapevano che una tale incertezza è molto dannosa per la pace dell’anima. Perciò proposero un’accurata analisi del processo mentale che si verifica in occasione delle tentazioni interiori. Ordinariamente si distinguono cinque stadi di penetrazione della malizia nel cuore: 1) la suggestione, 2) il colloquio, 3) il combattimento, 4) il consenso, 5) la passione» (T. pidlík, L’arte di purificare il cuore, Roma 2006).
La «suggestione», scrive ancora pidlík, è «la prima immagine fornita dalla fantasia, la prima idea, il primo impulso». «Se lasciamo perdere la prima suggestione, essa se ne va così come è venuta. Ma l’uomo normalmente non lo fa, si lascia piuttosto provocare e comincia a riflettere», ecco cosa s’intende per «colloquio». «Un pensiero che, dopo un lungo colloquio, si è insidiato nel cuore, non si lascia scacciare facilmente», ma l’uomo è ancora libero di non acconsentire. «Può e deve uscire vittoriosamente da questa lotta, ma gli costa tanta fatica», questo significa il «combattimento». Il «consenso» è invece lo stadio di chi «ha perduto la battaglia» e «decide di eseguire alla prima occasione, ciò che il pensiero maligno gli suggerisce ( ). In questo stadio si commette il peccato in senso vero e proprio. Ed anche se non si concretizza esteriormente il peccato rimane interiormente». La «passione» – che nella spiritualità orientale ha un significato diverso che in quella occidentale legata al pensiero di Tommaso d’Aquino e che può equivalere grossomodo al nostro concetto di vizio – «è l’ultimo stadio, quello più tragico. Chi soccombe ai pensieri maligni, spesso indebolisce progressivamente il suo carattere. Nasce così una costante inclinazione al male che può diventare forte a tal punto da essere molto difficile resisterle».
Raccordando queste considerazioni al divieto di desiderare si può concludere che è colpevole il desiderio collocabile negli ultimi due stadi dello schema proposto da pidlík, ovvero il desiderio a cui si acconsente, che si coltiva nelle fantasie morbose o nella tristezza dell’invidia, e che può ingenerare, alla fine, una vera e propria dipendenza.
pidlík sottolinea che «il vero peccato è condizionato da un libero consenso. Questo deve consolare gli scrupolosi che si spaventano dei pensieri e dei desideri di male che non raramente confessano di aver avuto ( ). Che cosa fare allora quando ci sentiamo assaliti da tali tentazioni? Dobbiamo fermarci e dirci: «Che cosa voglio fare? Che cosa decido?»
Davanti a Dio, l’uomo è ciò che liberamente vuole e non ciò che sente contro la propria volontà. La scoperta della propria libertà è molto importate per la vita spirituale. Ma resta vero che i pensieri malvagi che attirano la nostra attenzione sono spiacevoli. Con quale mezzo si potrebbero evitare? A questo proposito gli uomini spirituali imparano la pratica che si chiama attenzione o vigilanza del cuore, o sobrietà mentale».